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99. Marzo 2008
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Editoriale: Chi ha piu' fede?La domanda e' ambigua: c'e' ancora qualcuno che ha fede?
c'e' qualcuno che ha piu' fede di altri? INDICE Risposta definitiva (Ardea Montebelli) Erbamara (Gezim Hajdari) Vergini savie e vergini stolte (Marco
Martella) Recensioni Commento a Mc 9,2-10 (di Luca Fantini) La trasfigurazione e' un episodio singolare che si pone in un momento anch'esso molto particolare all'interno della vicenda di Gesu' con gli apostoli. Singolare la trasfigurazione perche' e' l'unico momento di tutta la storia di Gesu' in cui aspetto divino ed umano si mescolano fino quasi a confondersi. Dopo la risurrezione Gesu' si mostrera' come uomo: i dubbi degli apostoli riguardano il fatto che lo sanno morto, e piu' che il suo aspetto li colpisce il suo apparire e scomparire. Particolare anche il momento in cui la trasfigurazione si pone: Gesu' ha appena detto apertamente agli apostoli che la sua vita terminera' in un tempo piuttosto breve, in maniera violenta ed ingiusta: non e' il massimo per il messia! I discepoli comunque non comprendono questo discorso che sembra segno dell'assenza di Dio e non della sua presenza. La trasfigurazione e' un'iniezione di fiducia che Gesu' fa agli apostoli, un segno di speranza il cui scopo e' sostenere la speranza vacillante dei dodici. Si parla di gloria. Mose' ed Elia appaiono nella loro gloria. La gloria non fa parte dell'esperienza dell'uomo sulla terra, e' la dimensione di Dio, e' cio' che ci attende quando saremo definitivamente con lui. E' una dimensione che va al di la' di ogni immaginazione umana. Gli evangelisti provano a descrivere la gloria di Mose' ed Elia (loro che gia' sono insieme a Dio e godono con lui di questa dimensione altra) come una luce forte, violenta, che promana dal di dentro e si propaga finanche nei vestiti rendendoli quasi abbaglianti, splendenti, cosi' bianchi che nessuna opera umana sarebbe in grado di fare altrettanto. La speranza che viene dalla trasfigurazione
sta gia' nell'apparizione: la vita non finisce, anzi il suo vero splendore,
la sua manifestazione piu' autentica sta al di la' di quanto noi conosciamo.
Proprio per questo nella morte ingiusta di Gesu' e' sbagliato vedere
l'abbandono di Dio. (Pubblichiamo qui alcuni versi di una raccolta inedita di Ardea Montebelli che "commenta" le stazioni della Via Crucis)
IV stazione: "Chi compie la volonta' di Dio, costui e' mio fratello, sorella, madre" (Mc 3,35) Tutto volutamente mi sfugge. (Dalla raccolta omonima del poeta Gezim Hajdari, di prossima pubblicazione per i nostri tipi. Hajdari e' stato premiato dal concorso Eks&Tra, ha vinto il premio Montale e numerosi altri prestigiosi premi) Nulla albeggia Come pelle nera Nell'abisso della valle Cosa cerco Fuori nel giardino *** Mai baciato una fanciulla *** Non mi interessa Ho vissuto cosi' a lungo So cio' che mi attende *** Forse domani non ci saro' Si perdera' la mia voce Appesa al fiume Sul corpo crescera' Verranno i giorni di maggio
(dello stesso autore: Antologia della pioggia) Vergini savie e vergini stolte (di Marco Martella) Vi diro' com'e' andata. Dieci vergini aspettavano nottetempo che arrivasse lo sposo e l'attesa era stata lunga, ma lunga davvero, che alcune di loro non ricordavano neanche piu' da quanto tempo erano li' a vegliare. Ma aspettavano, nonostante tutto, aspettavano fiduciose e fiduciosamente hanno finito per crollare dal sonno una appresso all'altra. Quando e' risuonato stridulo (lo sento tuttora) il grido "eccolo!", gli sono corse incontro con i capelli sciolti e gli occhi rossi, ancora pieni dei sogni che avevano interrotto bruscamente. Cinque di loro, quelle munite d'olio per le lampade, si sono messe la' in piedi, felici ad accogliere lo sposo. Le altre cinque, che di olio non ne avevano a sufficienza, sono andate di corsa (pero' disperate e senza piu' crederci) a cercarne, non so piu' bene dove. Quando sono tornate la piazza era vuota: lo sposo - perche' era proprio lui - era partito con le vergini savie, se le era portate via, cosi', chissa' dove. Stavano gia' per abbandonare ogni speranza quando: "La' dentro!" ha gridato una delle stolte. Era Tatiana, quella piu' agitata tra di loro. Allora si sono messe a correre verso un palazzetto poco distante, dalle cui finestre splendevano mille torce nuziali. Si', doveva essere la' dentro. Quando le cinque stolte si sono avvicinate hanno sentito i suoni eccitati delle risa e della musica. Il resto della citta' dormiva silenzioso. Sono andate, hanno bussato con il cuore in gola e nessuno ha aperto. Che altro restava da fare? Se ne sono tornate in casa, sconsolate e con le lampade accese che gli pendevano dalle braccia come fuochi fatui, cose inutili oramai. Bene, ora immaginate la scena: dentro queste mura le giovani inconsiderate s'abbandonano alla disperazione: Pia (la dolce Pia) si commuove pensando al suo destino solitario e piange, Tatiana (che a dire il vero vergine non lo e' piu', e da tempo, ma che importa) medita complicatissime vendette, Monique (quella che ha studiato alla Sorbona) riflette silenziosa sull'implacabile, ironica assurdita' di ogni attesa e di ogni cosa, Erma (la muta) si contempla il grembo. Ed io. Ognuna a modo suo cerca di ricordare l'istante in cui lo sposo e' apparso. Una macchia di luce, si sarebbe detto: una macchia di luce nella notte! Bello doveva esserlo per forza. E come deve essere stato dolce per quelle cinque fortunate (o savie che sia) avvicinarsi a lui nel profumo di caprifoglio e di gatti che c'era nella piazza a quell'ora della notte, salire sul suo carro, poggiare magari la mano sulla sua spalla, la mano o anche solo due dita, e dirsi - no, oh no non dirsi nulla, non doversi piu' dire nulla se non che e' tutto vero. Meraviglia! Solo a questa idea, ecco, mi viene un brivido, come poc'anzi quando siamo rientrate tutte in casa. E una strana, inspiegabile gioia mi entra in corpo, che se le altre lo sapessero certo mi toglierebbero il saluto. Mi entra tra le gambe, qui, attraverso gli occhi, nel cuore dove non c'e' piu' dolore o quasi: un simile sposo, e di carne per giunta, come lo abbiamo sognato tutte sin dai giorni interminabili e vuoti dell'infanzia. E' passato di qui proprio poco fa, e per poco non l'abbiamo incontrato, per poco. Per un soffio non siamo partite via con lui passando da vergini a spose... Alle mie spalle i gemiti delle compagne, povere compagne: le domande senza risposta, il fruscio disperato delle vesti. Da fuori, dalla piazza vuota, un rumore di passi. Un nottambulo. No, un cane. Un bastardello pulcioso che non riesce a prendere sonno e se ne va in giro a caccia di ombre. Nella tasca sfioro con tenerezza il piccolo barattolo d'olio di riserva che mi porto sempre dietro. Poi appoggio la fronte alla finestra fredda e ricomincio, placida, a sognare. (Marco Martella, nato a Roma nel '62, vive a Parigi, dove
lavora come traduttore. Ha pubblicato poesie e racconti su riviste come
«Poesia», «il Segnale», «Il Rosso e il
Nero», «Poiesis», «Arenaria», «Hebenon»
... Ha collaborato per alcuni anni con la redazione del «Segnale»
(articoli, critica letteraria, recensioni, traduzioni). Le sue traduzioni
di poesie di Jean-Clarence Lambert sono state pubblicate nel 1999 dall'editore
romano Il Bulino ("Giornale del Labirinto"). Croce e techne. Un confronto con Umberto Galimberti Dio per S. Gregorio di Nissa Africa. Missione e cultura Resurrezione dei corpi Il mistero del tempo Discorsetto sul cristianesimo
Parole che graffiano, evocano, fanno pensare a talvolta
anche sorridere. Ricerca letteraria su trame poetiche a meta' fra aforisma
e futurismo. Esercizio di scrittura e di pensiero e, ovviamente, anche
di lettura. Tutto questo racchiuso nelle pagine di questo piacevole
portfolio letterario. («Ellin
Selae» n. 52, maggio 2001)
La foglia di fico (di Mohamed Ghonim) L'uomo in fuga. Da se' stesso e dalle sue paure ancestrali. L'uomo alla ricerca del nucleo primigenio della propria anima. La fuga e la ricerca, due facce della stessa medaglia, l' "andare verso qualcosa" da cui non si puo' tornare indietro, se non perdendosi. Le storie che Mohamed Ghonim narra nella raccolta La foglia di fico e altri racconti rappresentano l'uomo in continuo movimento. Verso la propria origine o incontro alla propria fine. Una ricerca a tratti ossessiva e segnata dalla sconfitta, ma anche illuminante ed dominata da un senso profondo (...) (nel sito «Immiground» maggio 2001) |
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