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99. Marzo 2008
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Editoriale: Una presenzaAndrea Marzi ha recentemente pubblicato
Amore e il Resto del Mondo in cui troviamo questo verso:
"le nostre parole mi sono troppo intime". C'è allora
una relazione profonda che le parole sono insufficienti a comunicare?
Prefazione di Antonio Faeti (Cesare Blanc Editore, 2004) di Andrea Marzi Declino di una civiltà Ci sono delle leggi Ci sono certe pagine Ci sono certe pagine nei libri… Oggi i tuoi occhi han detto Il mare e la spiaggia Per loro è facile Quartina del non amore "Non posso parlarti, qualcuno mi ascolta Andrea Marzi nasce a Pesaro nel 1958. Vincitore di un Premio Recanati, ha pubblicato un cd, Il meteorologo mentre un secondo, La Canzone Cucinata è di imminente pubblicazione. Amore e il Resto del Mondo (Cesare Blanc Editore, 2004) è la sua prima raccolta di poesie. Dal 2000 collabora con Antonio Faeti alla realizzazione di spettacoli, incontri, eventi, la cui caratteristica costante è l’incontro fra musica, letteratura e poesia. Da anni prosegue la sua ricerca volta a mescolare, senza confonderle, la poesia e la musica nella dimensione di spettacolo dal vivo. Ha partecipato sporadicamente a slam-poetry, in alcuni casi, vincendo. www.andreamarzi.it
Una conversazione con Mario Luzi Luca Nannipieri: ho sempre amato molto quando una persona anziana racconta la sua vita. Il tempo e la memoria ripuliscono tante cose, e così quando questa persona racconta le sue storie, i suoi dialoghi, sento che questi eventi sono come liberati dagli egoismi, dai risentimenti, dagli affanni, dalle animosità della vita corrente. Diventano racconti straordinariamente semplici, puliti, diventano degli esempi. Lei ha compiuto da poco novant’anni. Mi piacerebbe che mi dicesse come ricorda sua mamma e suo papà. Mario Luzi: spesso nella memoria li rivedo insieme, e questo già mi commuove molto, li rivedo insieme, in gruppo, c’è mia mamma, mio padre, mia sorella ed io, in questa casa in cui stavamo tutti. Li rivedo come un’entità sola, e non li sento perduti, per me sono ancora interlocutori, presenti, con cui dialogare e parlare. Con la vecchiaia, non si ha più molta paura di morire. Più siamo prossimi alla morte, più si entra in confidenza con lei. Quando siamo un po’ al di là della “siepe”, questa frontiera perde consistenza. Penso che un po’ tutti, con la vecchiaia, acquisiscano questa serenità del passaggio ad un altro livello di presenza nel creato. Senti che c’è questo transito naturale, a cui non puoi opporti e che accetti proprio come fatto di natura. Come il dolore. Il dolore è senza causa. C’è un dolore che è nel mondo e che ti arriva, non è nella nostra logica, ma accade, succede, ne siamo esposti creaturalmente. Luca Nannipieri: le cose che Lei ha appena detto mi hanno fatto tornare alla mente un passo dei fioretti di Francesco d’Assisi. Durante una delle sue lunghe camminate, un confratello gli chiede in quale direzione devono andare a predicare. San Francesco gli risponde: "gira su tu stesso finché non perdi l’orientamento. Dove cadi, vai in quella direzione lì". Mi ha sempre turbato questa sua risposta: gira su te stesso, e dove cadi, vai in quella direzione lì. È un po’ come dire: togliti di dosso tutte le tue sicurezze, i tuoi riferimenti, le tue direzioni, appunto: disorientati. Dove cadi, vai in quella direzione lì. Cioè affidati a Dio, lui ha deciso per te. Disorientati, cioè perdi qualunque ordine e misura umana per accogliere l’ordine di Dio. È un messaggio molto radicale, straordinario a dirsi, ma anche terribile quasi da accettarlo, se si pensa di essere una penna nelle mani di qualcun altro che scrive attraverso di noi. È molto difficile accettare e riconoscere questa obbedienza nei confronti di un destino più grande di noi. È molto difficile soprattutto quando accadono eventi nella vita a cui nel rispondere sembra mancare fiato. Ad esempio, prima di venire qui, sfogliando un giornale in bus, ho letto di un bambino che è morto perché un cancello di ferro gli è cascato sopra. Aveva otto anni. È difficile avere la stessa serenità e lo stesso nitore nell’accettare questi eventi. Mario Luzi: come si fa a limitare il senso della vita di questo bambino ai pochi anni che ha vissuto… chissà quella breve vita in quale percorso più grande è inserita, e che parte ha questa breve vita in questo cammino. Certo, è spaventoso veder troncata un’esistenza che avrebbe potuto avere una continuazione lunghissima, che avrebbe potuto contenere molte più cose ed esperirle, mentre invece le ha tenute in nuce, perché non si sono esplicate. Ma in ogni vita c’è tutto anche prima che accada. Leopardi è morto a 39 anni, ma la sua è stata un’esistenza enorme. Anche in quel bambino, chissà nella sua breve esistenza quante cose si sono concentrate. Se penso a quante persone mi hanno sfiorato o che ho appena incontrato, magari sono persone che con la loro presenza hanno voluto dire, significare qualcosa; e queste omissioni, queste perdite, queste “inceppature” nel corso della vita sono state un segno anche loro, da capire, da accettare. Luca Nannipieri: spesso penso a come sia incredibile che dopo tante stragi, soprusi, sopraffazioni, guerre, stermini di uomini e donne, dopo tanta violenza, questa lode e ammirazione per la vita riemerga ogni volta dalle macerie, senza una ruga sul volto. E credo che le persone sopravvivano a queste sciagure proprio perché riescono comunque a sentire una speranza dopo tutte queste tragedie, una salvezza tra la loro condizione e il gigantismo delle cose che accadono attorno a loro, come l’agonia di una persona che amano, un tumore che scoprono di avere, un innamoramento, una guerra, il cielo infinito che abbiamo sopra di noi. Mario Luzi: dopo aver scritto tanto e aver imbrattato tanta carta, una domanda terminale viene da farla: che cosa hai trattenuto di questa immensità che è la vita e che l’uomo poi percepisce nei limiti del suo perimetro vitale, del suo angusto cerebro? Che rapporto c’è fra ciò che hai potuto captare del mondo e ciò che il mondo è? Si sente che quello che abbiamo vissuto e provato è la risonanza di qualcosa di più grande, oltre i limiti della nostra comprensione. L’infinito lavora, si fa sentire anche nel finito, nel circoscritto terreno della nostra condizione, ripercuote come battito di fondo. E questa tensione fra l’infinito e il finito è una condizione congenita in uno scrittore, è la situazione da cui nasce la scrittura. Luca Nannipieri: è straordinaria la frase che Lei ha appena detto: l’infinito lavora. Mario Luzi: quando scrivo, io non progetto un libro, è il libro che modifica me, è il libro che si costituisce, lavora su di me, mi modella su di sé. Ci sono già nel mondo una serie di energie e di princìpi che si attuano e che lavorano su di noi, non siamo noi a regolare, ma siamo noi stessi ad essere regolati. Quando è forte questa necessità, decide lei, più che la nostra ragione e la nostra volontà. È un po’ come il ciclo della foce e della sorgente: l’acqua non va solo dalla sorgente alla foce, ma dalla foce ritorna in qualche modo alla sorgente. Non è solo un movimento meccanico della natura, è anche un movimento reciproco della natura alla sua origine, che noi spesso non percepiamo. Luca Nannipieri: ci sono milioni di persone che non accettano questa visione della nostra presenza del mondo. Dicono: i nostri cari defunti non sono presenti, non ci aspettano, non ci parlano, sono morti, sono sotto terra, punto e basta; il mondo in cui viviamo è un difficilissimo, complesso intreccio di fenomeni, che non ha nessuna trascendenza, nessun disegno divino che ci sovrasta, e il nostro lavoro è quello di interpretare, vagliare, capire, orientarsi e migliorare la nostra condizione di umani. Questo è quello che dicono. Poi però li vedi piangere mentre chiudono la bara di un loro genitore, li vedi piangere e senti che in quel pianto c’è un’invocazione a che le cose non siano come la loro ragione chiede loro di credere, c’è una speranza silenziosa che quella persona che è morta e con cui hanno vissuto tanti anni, non sia adesso soltanto carne che va in putrefazione; c’è insomma in quel pianto una silenziosa preghiera di poter un giorno rincontrare, riabbracciare quelle persone che hanno perduto. Mario Luzi: la societas è importante perché un uomo non sarebbe in grado di spiegarsi da solo, nella sua solitudine. Ma la societas è anche obbligante, condizionante, è anche una gabbia dove le convinzioni e le servitù sono presenti e diffuse, e quindi non tutti gli uomini sono autonomi rispetto a se stessi. Quando dico che noi siamo parte di un sistema vitale, di un organismo, di una crescita dell’universo, che passa attraverso la nostra storia e va oltre di noi, questo lo possono percepire e capire tutti. Purtroppo questa societas porta anche molti individui a rinnegare questa evidenza, questo flusso vitale e infinito in cui siamo inseriti, e a chiudere tutta la vita e la storia degli uomini in una condizione materiale, quotidiana, storica, senza nessun afflato più grande. Io ho sempre sentito come parziale qualunque interpretazione che limitasse la grandezza della natura, la magnificenza del creato, e che giudicasse la creatura umana in una chiave obbligata. Ho sempre rinnegato nella mia poesia e nel mio pensiero tutte quelle filosofie delusive, negative, che vedevano l’uomo come spacciato e fallito nelle sue esperienze e gli assegnavano un destino di sconfitta, di rassegnazione nel mondo. Questo pessimismo negativo, questo male e questa sconfitta di vivere, io non li ho mai sentiti. La naturalezza l’ho sempre data come premessa nella mia poesia. Dalle mie prime prove dei vent’anni fino ad oggi, non ho mai avvertito questa condanna che incombe sull’uomo, anche perché aderire a queste visioni negative mi avrebbe escluso dal respirare e ammirare questo grande processo, questo ciclo meraviglioso in cui sono vissuto e in cui come creature siamo inseriti. Luca Nannipieri: una volta parlando della morte di sua madre, Lei pronunciò parole che ho avvertito subito come grandi parole di verità, che vorrei non andassero dimenticate, perciò le ripropongo. Disse: “Io ho sentito la morte di mia madre come una mia seconda nascita. La sua agonia, lunga e dolorosa, fu per me una sorta di incubazione. Fu esperienza di separazione e lacerazione, ma poi di ritrovamento totale, perché c’è una sorta di riflusso della nostra storia, domestica e familiare, in un momento. Tu senti che questa persona non sarà più distinta da te. È il momento in cui interiorizzi la persona assente. Non ci sono più due persone distinte e due mondi, ma c’è una compenetrazione interiore. Per questo ti dico seconda nascita, perché sei tu coronato sopra te stesso: tutto quello che c’è stato tra noi, nelle varie occorrenze della vita di due persone, ora è in te”. Sono rimasto fortemente colpito da queste sue parole, soprattutto quando dice: senti che questa persona non sarà più distinta da te. È una gran verità quella che Lei ha detto: le persone che amiamo, nel momento in cui si perdono fisicamente, si ritrovano totalmente nella nostra anima, al punto da non saperle più separare da noi. Mario Luzi: mia madre per me rappresentava il giusto, ciò che è giusto. E quando è morta, ho sentito il suo esempio e il suo carico di insegnamenti e parole che si trasferivano silenziosamente in me, si incarnavano nelle mie parole, nei gesti e nelle mie azioni. È il miracolo che si perpetua della tradizione, del passaggio di mani. La tradizione è il momento in cui questo deposito di vite, di esempi, di esperienze, di anni, di secoli passati, brucia per diventare qualcos’altro, per trasformarsi e incarnarsi in un’altra forma, per trasformarsi in possibilità del futuro. Luca Nannipieri: noi uomini siamo un po’ come un ponte, il nostro essere non è mai chiuso, acquista un retaggio di abitudini, pensieri, insegnamenti, energie dalle vite precedenti e le affida, trasformandole con la propria esistenza, alle vite future. La speranza è sempre viva nell’uomo, perché spinge a considerare le cose non in sé, ma nel loro divenire, nel loro essere in attesa di qualcos’altro. La speranza è un tema fondamentale per l’uomo. Mario Luzi: la speranza è un tema molto importante. Nonostante nel mondo esista il male e ogni giorno si riproponga con crudeltà ed efferatezza, nonostante esista una zona oscura nell’uomo dove il male lavora e si manifesta, il prodigio della vita si ripresenta continuamente, incessantemente, integro. E la speranza esercita un ruolo essenziale in questo prodigio. La speranza è una disposizione dell’anima, è una sorgente, un getto, una fonte d’acqua che scaturisce dalla roccia; la speranza è importante perché riconduce l’uomo a se stesso, alle sue origini, alla fonte da cui è nato. Quando, già a vent’anni, scrivevo: “Amici, ci aspetta una barca” intendevo proprio questo: amici, ci aspetta un viaggio, una navigazione, perché la vita è una cosa enorme, ci aspetta una navigazione alla ricerca di se stessi e delle fonti che ci hanno dato origine. “Amici dalla barca si vede il mondo / e in lui una verità che procede / intrepida, un sospiro profondo / dalle foci alle sorgenti”. La speranza è importante per questo, perché fa acquistare valore a questa materia enorme, sovrumana, che è la vita. Luca Nannipieri, è nato a Pisa nel 1979. Ha pubblicato L’attore e la poesia. Otto conversazioni con grandi attori di teatro (2004) e Ai miei nonni (2004, con premessa di Tolmino Baldassari) nominato come miglior esordio in poesia in più festival nazionali di letteratura e la silloge A Silvia. È direttore di sala del Teatro Comunale di Conselice a Ravenna, sotto la direzione artistica dell’attore-regista Ivano Marescotti, e collabora con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna.
da Intrusioni (Franco Puzzo Editore, Trieste, 2004, 9 euro) Aprendo cautamente il mio diario dei ricordi mi capita
come a Pandora con il vaso: vengo investito da appunti, scritte, fogli,
a metà strada fra i mostri del passato e l’invito a compiere
un viaggio. Gli occhi diventano ali attraverso luoghi e stagioni, tra
la galleria di volti e situazioni che ho incontrato, che ho vissuto. Corrado Premuda, nato a Trieste nel 1974, è autore di due libri di narrativa, Un racconto di frammenti (L’Autore Libri Firenze, 2000, presentazione di Cristina Benussi) e Intrusioni (Franco Puzzo Editore Trieste, 2004, presentazione di Alfonso Cipolla) e ha curato il catalogo d’arte EaTable Glass (Trieste Contemporanea, 2004, Sesto Concorso Internazionale di Design, INCE Iniziativa Centro Europea). Altri suoi racconti in Percorsi a Nord-Est (Hammerle Editore, 2005) e Innamorarsi (La Versiliana Editrice, 2001) e sui siti www.rottanordovest.com, www.poetriesandstorys.it e www.fucine.com. È autore anche di testi teatrali. Giornalista free lance, scrive di cultura e attualità per il quotidiano di Trieste « In Città », su cui tiene anche la rubrica di costume Triestinità, si occupa di libri e di cinema per Fucine Mute e scrive di arte per il mensile del Triveneto « Duemila ». È stato redattore del periodico d’arte bilingue italo-inglese « Trieste Contemporanea ». Ha collaborato con l’Istituto italiano di cultura di Malta. Tiene corsi sul linguaggio cinematografico nelle scuole ed è stato tutor d’aula e on line per alcuni istituti formativi. È archivista dal 1995. Si è laureato in Scienze Politiche nel 1999 all’Università di Trieste. LEI, CHE SONO IO Ella, que soy yo trad. a fronte in spagnolo dell’autrice, ill. B/N di Gabriela Rodriguez Cometta, Il Mappamondo, 2005, pp. 160 , € 8,50 “Clementina Sandra Ammendola, che sono io, è una che viaggia molto. Sandra è nata a Florida, un paese della provincia di Buenos Aires… Clementina Sandra ha il padre italiano, un emigrato calabrese arrivato in Argentina negli anni ’50; e la madre argentina, di origine spagnola e italiana”. Come in tutti i Mappamondi, il racconto in doppia lingua di un incontro tra due diverse culture: quella argentina e quella italiana. Alla fine del volume, leggende, indovinelli, ricette e giochi, con le Mappapagine piene di indirizzi utili. Clementina Sandra Ammendola è una “migrola”: vive e studia la migrazione per necessità, si sposta da una nazionalità ad un’altra (infatti ne ha due, argentina e italiana), percorre parole e vissuti, si metta in cerca di una voce – anche se ne ha più di una: sociologa, educatrice, scrittrice – e sceglie l’italiano per raccontare storie esemplari che siano in grado di trasmettere ciò che ha visto e sentito.
"Piccola guida ai monasteri e conventi di sicilia" di Davide Romano (ed La Zisa, pagg. 32, euro 5) "Gli ospiti che arrivano siano accolti tutti come
se fossero Cristo", così scriveva nella sua Regola San Benedetto,
il padre del monachesimo occidentale. E da allora credenti e non, tutti
sono bene accetti nei numerosi conventi e monasteri che punteggiano
il paesaggio della Sicilia. Sono sempre di più, infatti, i laici
che, in fuga da ritmi di vita sempre più disumani e alienanti
delle nostre città, decidono di staccare per un po' la spina
passando qualche giorno fra le mura delle case religiose, ormai vuote
di frati e monache - per la cronica e irreversibile mancanza di vocazioni
-, in cerca di pace, di silenzio e di qualcuno che li aiuti a fare il
punto sulla propria vita. Su Ossigeno di Vanessa Sorrentino Ossigeno
di Vanessa Sorrentino
(Book Editore, 2004) è una raccolta che ci dà del nostro
vivere occidentale (che rischia affatto di cadere davanti ai
nostri occhi, è proprio il caso di dirlo) una analisi sommessa,
quotidiana, eppure a tratti, in quelle che ci paiono come le cose migliori,
sferzante: "La nostra religione è un orizzonte chiuso (…)
/ La fila di gente nei supermercati / vive nella periferia di sé.",
"Non di figure piane siamo fatti / ma di volumi / e densità
di corpi". Vanessa Sorrentino si è laureata in Filosofia con Ermanno Cavazzoni. Lavora presso una cooperativa culturale. Organizza Sulla strada, concorso fotografico-letterario, e Narrative, ciclo di incontri ed eventi tra il cinema e il narrare. Ha collaborato alla redazione di Libere Carte (Cesena). 1° (2002) e 3° Premio (2004) al concorso di poesia "Là dove si inventano i sogni". Segnalata al concorso di poesia Il Navile (Bologna) con la raccolta poetica Ossigeno. Collabora stabilmente con la redazione di Tratti (Moby Dick, Faenza) e con Fernandel (Ravenna). Si diverte a intervistare scrittori e poeti. Ha collaborato con l’artista Silvia Camporesi per il progetto Ofelia e Ritratto contemporaneo della città, e con Tania Flamigni, per la pubblicazione di una plaquette. La Banda della CroceCare amiche e cari amici, |
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