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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 77
Maggio 2006
Editoriale:
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
È un verso della miniraccolta poetica di Massimo
Orgiazzi che apre questo Faranews. Il vuoto corrotto potrebbe essere,
agostiniamente, il male come privazione di bene. La santità indecisa
è forse legata al tema del libero arbitrio. In una riga una visione
dell'uomo (non a caso la poesia si intitola Io sono,
che è anche il nome di Dio): questa è la forza della poesia.
Troviamo nelle poesie di Luca Ariano, Giuseppe
Callegari e Franco Casadei altri motivi pro-vocanti
che scuotono i nostri occhi ormai abituati a tutto. Il saggio critico
di Vittoria Bartolucci su Acquaforte
ci avvicina al mondo creativo (cioè poetico) di Gladys Basagoitia:
"la poesia / viene da tutti da tutto". Massimo
Pasqualone ci suggerisce che il lettore è il vero artefice
della poesia e Romolo Scodavolpe, recensendo FaraPoesia,
parla di "voci non peregrine e non flebili". Agurandovi una
buona lettura, vi ricordo il nostro concorso Prosapoetica
"terra/di/nessuno" e vi segnalo questo convegno camaldolese
http://www.faraeditore.it/html/eventi06.html#camaldoli
Miniraccolta
di Massimo
Orgiazzi
La vita liquida
Qui si sta ad ascoltare
giorni strisciare sul fondo abrasivo,
sul pavimento del bagno mai pulito, si perdono
chili, nozioni di cinema e fisica
vecchie canzoni di quando s'era marinai
bambini, eroi – i nastri rossi ai capelli
perdite idrauliche
unità di tempo arbitrarie
più danni di mesi, meno di anni
piastrelle crepate
“le so fissare per ore”
“ma è ora di pranzo”
grazie ancora di cuore di queste misure
la vita che liquida cola nelle fessure
28 Ottobre 2005
Che ci lasci tornare
Fuori il vento faceva del giorno una lama
abbagliante, gli scuri già chiusi su un sole
supernova agli affanni, alla luce del doppio più intensa
si cambiavano panni ai bambini nell'ocra di specchio per terra
i cannoni, le bocche puntate sul cielo a fine giornata
l'aria chiusasi nei cassettoni confusa con un temporale
ed il male dell'essere al fondo del tempo già nati
circoncisi dal verso retrogrado di orbite lunghe
effemeridi strane di nascite al nulla biologico
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sangue-lacrime al conto le polveri agli occhi
se nel piangere interi gli incendi solari crollava
un pianeta gemello invisibile oscuro – le chiese
i non luoghi del sempre a spazzare l'asfalto ed i ponti
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Che ci lasci tornare quell'attimo prima del sonno
che ci lasci tornare che prima del dopo
a giocare con poco – i capelli del bimbo che chiari di viso
nei suoi occhi quel nome
il sorriso
1°-03 Novembre 2005
Le piogge della notte
Ma le piogge notturne sulla terra sospesa
Hanno ridestato l’ardore che tu chiami il tempo.
(Yves Bonnefoy)
Mi svuoto al pelo libero, mi devo,
si accosta la giornata ancora corta, la
memoria simultanea già morta, in
cerca di massa stabile, chiariva, verde fotoelettrico
autotreni di piazzali.
“Ecco, m’hai fatto vivere settant’anni”
ordinando a segmenti i cimiteri con il tempo, ma
in me c’è sabbia: invece stento, recide fine
precisa come un guanto, su risacche indipendenti
di vivi e di entità, bisbiglio spurio in variabili tonali
di detrimenti periodati, vite estratte a punti come denti.
Di fuori il cielo spegne, fino al chiaro nella fuga,
la prospettiva non sarebbe che uno schizzo, muta
l’aria, nel vuoto d’aria di quel vento.
Ed il tempo una frase a scarabocchio nero
“non riesco a leggerlo”: navigazione non in crescita, sul
versante non pendente del pianeta.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ogni ora in un ricordo, io e te su quella valle
l’incedere geometrico del cielo, le piogge nella notte
hanno detto.
06-09 Dicembre 2005
Il passo esatto
Centoventi metri di sole, al fianco di dicembre
raggelano, si spengono in dodici minuti, in ombre
nei geli semifreddi, sufficienze di pensiero al troppo pieno
il cronicario della testa, lordo al peso, fino
di questi giorni, calma delle cose al loro posto.
Cura femminile per scegliere una camicetta,
pence per pence, bottoni sul colletto;
le somiglianze di cellulari, ognuno nel suo letto,
il passo esatto nei centri commerciali, le casse che pacate
ticchettano scontrini e, le penne da scrivania
distese quadro delle linee sul presente, costante resto del tuo tempo.
In tutto questo
strano che tu ci sia, che tu ancora emerga piano
come una chiamata a vibrazione che solletica la mano
da freddo che ricopre l'aria, regola applicazione,
ricorso-fuga ad assestarsi ai cicli, alle sequenze
di quel che mai è stato; a sdilinquìre il verso
delle cose: "saremmo stati, io e te". Non volere|essere
che segno, disaccoppiamento dalla storia
una nota sola, un pegno dell'istante,
una rata di tutto il pagamento.
11-13 Dicembre 2005
Io sono
Mi guardano come se fossi io sono
compresso di scatti, di idiomi malati, un uomo
di dati, una remora prima che dura irridotta,
indecidibile santo, corrotto di vuoto
un gioco, con regola singola e – batch che non filtra
Mi sentono consono al suono di uno stendino,
al vestito che sgocciola in attesa di vento.
Nel mese di nascita corto c’è sempre lo stesso
triangolo sole, muto di muro apparenza. Ad esso, speranza.
15-17 Dicembre
T con c
Cadiamo, di sonno più solido tra, spesso,
le pietre di idoli, tra lettere, una lettera t
sulle cose, su tutto, il tasto rimasto premuto, ingrossato
di sporco, restare, come se tutto chiedesse di grasso,
per poter rimanere in ascolto, del delicato, del respiro
del bimbo; di come i tuoi di capelli siano
tesi di tempo – che è campo, che sfera
contenimento, d’umore e di piano, sull’orlo
del mare, mai uguale, contorno.
Può essere qua, può nel ritorno
per t con c che tende al colore, darsi di sole,
stare nel centro, voluto, di questo piccolo mondo.
22-23 Dicembre 2005
Scienza del vissuto
Destituire il resto,
resistere dopo
tutto, più contento. Costringere
stringersi non è d'uopo
sul ricordo, sui rumori
del frantoio, sui soli
della luce nell'orologio, so
di che piante istòriano, che fiori,
la fede ben ficcata a fondo, debole
nel giro buono, nella vera
madre di questo mondo,
so noi essere, a sera
tutto quanto, il caldo
la veranda, il pianto
dei bambini - meno il resto.
Da lì in poi è scienza
del vissuto: è tanto.
13 Aprile 2006
Massimo Orgiazzi
è nato a Torino nel 1973, ma vive e lavora in Valsesia, nel vercellese,
dal 1990. Ingegnere meccanico, nel tempo libero scrive e si occupa di
rassegne e attività cinematografiche nella sala della sua città,
Varallo. Nel 2003 ha pubblicato la raccolta di racconti brevi Gli
aerei volano ancora per l’Editice Clinamen di Firenze. Sue
poesie sono state raccolte in riviste on-line e in alcune recenti antologie.
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3
poesie
di Luca Ariano
a Betta
Ti sei lasciato dietro le luci
e gli ultimi fasti dell’Ospedale
Vecchio – lontani lamenti da decubito.
Nelle tasche ti porti un demone
e puoi star fresco ad aspettare l’Angelo,
magari in uno di quei viali fioriti
a festa: è un giardino questa sera Parma.
- ti dicono che cambierà…
… ai loro tempi si stava meglio.
Tu c’eri appena il padre se ne andò,
s’ammalò la madre e ora che il coltello
sfiora la tua piaga è rimasto il tempo
di pedalare sulla bicicletta arrugginita.
Il momento di prendere un treno,
di correre su e giù e ascoltare il canto
delle sue piogge:
forse si è poeti perché la mattina ritrovi
quella ruga notturna che nessuna lama raderà.
***
La tua figura da coglione l’hai fatta,
con l’improvvisata da veglione,
da amante naif: hai sceso le scale
col volto irrorato dai capillari
e il cappotto tra le gambe.
Non ti salveranno una Guinnes
o una striscia a tarda ora
- ti dicono è come una strana
scena di Friends;
lasciali lontani gli sciacalli
sulle sponde dell’Enza a confondere
le luci dei riflettori coi lampeggianti
e tirando su il finestrino ti catapulterai
nel diario di gorgo d’una domenica.
***
Quei figli – forse unici,
troppo coccolati che ancora tirano
la sottana, la giacchetta
e tenuti in palmo di mano li ritrovi
prime donne a qualche baracconata.
Padri partigiani, figli terroristi
si son suturati le ferite
in doppio petto e l’hai visto anche tu
– costeggiando il Giardino –
il vento che scende sulla sera.
Si è gonfiata la tua pelle e la notte
ti ha grattato pensieri, crampi d’aria
a studiare l’attimo di un ti amo
mentre la vai a prendere s’un binario,
sul divano o dagli scuri sentendo
il profumo di farciò.
Luca Ariano è
nato nel 1979 a Mortara (PV), vive tra Vigevano e Parma. Ha pubblicato
nel 1999 la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio
presso Cardano di Pavia. Numerose sue poesie sono apparse su riviste
e siti letterari tra cui Frontiere,
Faranews e FuoriCasa.Poesia
e su antologie tra cui Oltre
il tempo/Undici poeti per una Metavanguardia, curata da Gian
Ruggero Manzoni per le Edizioni Diabasis (2004) e La
coda della galassia, a cura di Alessandro Ramberti, FaraEditore
(2005). Collabora con il sito internet Pagina
Zero, Il Foglio Clandestino
e La Clessidra ed è tra i redattori della rivista Ciminiera.
Nel 2005 è uscita la sua seconda raccolta di poesie Bitume,
con la prefazione di Gian Ruggero Manzoni, per le Edizioni del Bradipo
di Lugo di Romagna.
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Specchio
vomitato
di Giuseppe
Callegari
Sabato sera
Il tempo.
Percorsi vestiti
di birre vuote
fari di automobili
mozziconi,
religiosamente e nevroticamente,
vissuti.
Strade labirintiche.
Uscita interdetta.
Ricordi confusi.
Vuoto è squarciato.
Il nulla
riempie un’altra notte.
Ipocrisia
Il silenzio colpevole.
Accettazione della casa dell’indifferenza.
Il desiderio del cuore
sconfitto dalla paura della mente.
Una luce accecante
Rende più cupo il buio
del cinico sepolcro quotidiano.
Omologazione
Danze nevrotiche
di dita ipertrofiche.
Medicina all’uopo
di un cielo nascosto.
Specchio vomitato
di frammenti orfani.
Essere,
solo
una surrettizia presenza.
Traccia invisibile
di cammini inutili.
Esistere
Segmenti di sorrisi
Scheletri mobili
di parusiaca tristezza.
Occhi non sazi
scrutano la preda.
Un corno lontano
indica il rifugio.
Crudeli
Dolci
Universali
Strumenti dell’esistere.
aprile 2006
Ospizio
La porta aperta.
Occhi persi nel vuoto
Una sedia
Valigia piena
Lavandino pulito
Bufera di calce e mattoni
Polveri colorate di ricordi
Inutili inseguimenti
Predestinata danza
Caleidoscopio
di una povera e semplice vita.
Vittima predestinata
di un dio pagano.
Volontario orfano
dell’origine
Kamikaze inconsapevole
della foce.
Pareti bianche solarizzate.
Clessidra ostruita
Giostra di camici colorati
Meridiana cancellata.
Avvicendarsi di soli e di lune.
Sempre più sbiaditi
Sempre più lontani…
aprile 2006
Giuseppe Callegari
ha pubblicato con noi L'amore
si sporca le mani e Messa
a fuoco manuale.
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2 poesie
di Franco Casadei
Barabba
Ubriaco di libertà segue
quell’uomo, nascosto
fra angoli di case
potrebbe andarsene,
gli è ignoto il condannato,
s’accoda sulla via del dolore
discosto e muto
fino al compimento
lui, il sanguinario,
s’augura che muoia, finisca l’agonia,
ma l’alba di Pasqua ancora è là
acquattato fra i sassi del giardino,
tre giorni d’occhi aperti.
Non sarebbe risorto,
voleva esserne certo…
Senza nome
Ti sei coperta gli occhi
e non mi hai dato un nome
il ferro ruvido come vento
ostile mi ha impedito d’atterrare,
hai reso il viaggio breve.
Redenta dal dolore
sono chi ti manca,
memoria tenera e dolente
dimenticato il male
ti aspetto, lungo il sentiero
rideremo insieme
ora vedi chiaro
e mi puoi chiamare.
Franco Casadei
(Bertinoro di Forlì-Cesena, 1946), medico otorinolaringoiatra,
vive e lavora a Cesena. Dall’età del liceo compositore
di zirudèle e filastrocche in vernacolo romagnolo, solo
dal 2000 scrive liriche in lingua italiana. Impegnato in ambito sociale
e civile, già responsabile dell’Associazione “Medicina
e Persona” di Cesena, attualmente coordina il gruppo “Amici
AVSI” di Cesena che opera a sostegno dei progetti dell’Associazione
Volontari per il Servizio Internazionale, presente nei paesi più
poveri del mondo. Ha vinto diversi premi e pubblicato I giorni
ruvidi vetri (Società Editrice “Il Ponte Vecchio”
di Cesena, 2003).
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Tutto si fa poesia
su Acquaforte
di Gladys Basagoitia
note critiche di Vittoria
Bartolucci
bisogna attendere
in ascolto la poesia
viene da tutti da tutto
una ad una
incide le sue note dentro
poi scaturisce
Le parole di Gladys che introducono questa lettura di
Acquaforte rivelano,
con l'immediatezza e l'intensità della sua poesia, in che modo
le "si manifestano" e da che cosa nascono i suoi "versi".
Del resto, chi conosce le sue precedenti, raccolte sa che da sempre
la poetessa è impegnata a chiarirlo a se stessa e a quanti, attraverso
le sue pagine, leggono i suoi pensieri. E così, ad esempio,
nel suo unico libro in prosa, Il sorriso del fiume
(1995), parlando dei suoi primi contatti con la scrittura, che risalgono
ai tempi in cui frequentava le medie, racconta: "Non so da dove,
ma mi venivano le poesie, che scrivevo allora con rima ed il più
delle volte erano quartine di otto o di quattordici sillabe… Forse
quelli dimenticati… formano parte di quelle poesie scritte ad
anni di distanza"; e in Selva invisibile (1997)
riprende: "Poiché sono sempre lì / in agguato / incalzano
certi versi che non cerco / esigono ritmo e forma / non ammettono rifiuti
/ sicuri / del proprio diritto di manifestarsi."
Ma riprendendo in esame il componimento iniziale e fermando l'attenzione
sulle parole: "la poesia / viene da tutti da tutto" ci si
rende conto che l'ispirazione Gladys la trae origine dalla realtà
nelle sue molteplici manifestazioni. Leggendole, però, ne tornano
alla mente altre, come, ad esempio, quelle di "Tutto mi duole"
(in Selva invisibile), attraverso le quali l'autrice
presta la sua voce a chiunque, a qualunque cosa abbia perso la propria
"per sempre", oppure quelle di "Risposta" (in Polifonia,
2000) con cui confida all'amica Lucia
De Oliveira che "tutto si fa poesia / in quel magico spazio
/ dove nascono immagini / diventa vita il simbolo / propizio il sogno".
Ma dove si trova "quel magico spazio"?
Proprio alcuni componimenti di "Rapsodia di silenzio", prima
sezione di Acquaforte,
forniscono l'indicazione necessaria per scoprirlo. È "il
silenzio", infatti, ad essere da lei definito come "nutrimento
del canto" e di esso ne "la notte" che "avanza /
si colgono le infinite possibilità" mentre "si percorre
il cammino profondo / sino all'isola dove / si annidano i pensieri /
emozioni / dove si generano / le poesie del domani" perché,
scrive sempre nella raccolta, "giorni e notti d'alto silenzio"
sono "dimora sacra / del pensiero" cosicché, come ci
rivela la poesia "Ricchezza", anche "la casa senza eco
né ornamenti" è però "calda" perché
"prodiga di sogni".
D'altra parte, i versi citati mostrano come la loro autrice sia capace
di compiere la magia di trasformare, ricorrendo a delle intense, originali
metafore, dei concetti in poesia, cosa che è ancora più
evidente quando descrive il metodo che usa per dar loro modo, una volta
usciti insieme con le "emozioni" dall' "isola dove /
si annidano", di ancorarsi al foglio: "foresta di parole /
toglie il respiro", afferma infatti nella stessa sezione di Acquaforte,
e conclude che non resta altro da fare che "spogliare / mondare
per arrivare al frutto", parole che ne riecheggiano ancora una
volta altre, quelle attraversate dal sorriso di "Per fare l'amore
fare poesia cucinare" (componimento che fa parte di Selva
invisibile): "Misurare con intelligenza… / Indovinare
il fuoco necessario: la qualità del fuoco / l'intensità
la durata del fuoco / Togliere il superfluo."
Bisogna chiarire a questo punto che, anche se quanto è stato
detto sinora può dare l'impressione che la poetessa ripeta idee
da lei già espresse in altre pubblicazioni a proposito del suo
rapporto con la scrittura, in realtà il suo è un ritornare
in momenti successivi su quelle che, come se fossero una guida di cui
non può fare a meno, tiene sempre presenti mentre scrive, precisandole,
però, e cogliendone altre sfumature, affidate ad immagini sempre
nuove. Del resto, è necessario tenere presente il fatto che,
essendo anche una biologa e avendo quindi dimestichezza con la scienza,
Gladys è naturalmente portata ad analizzare, a fare raffronti,
a scoprire differenze e somiglianze, ad enumerarle, a combinarle…
ad osservare, insomma, ciò che accade da ogni angolazione possibile,
come se si trattasse delle "schegge /di un magnifico cristallo".
E ciò risulta evidente anche nei numerosi componimenti di Acquaforte
che rivelano il suo desiderio di imprigionare sul foglio (sul quale
il suo sguardo mai stanco di conoscere e di rapportarsi a tutto ciò
che le sta intorno spesso si posa), trasformandoli in poesia, ora gli
innumerevoli aspetti della natura intorno a noi (ricordiamo a tale proposito
i versi di "Sole", "Albeggiare", "Un giorno",
tra cui c'è da notare quello bellissimo: "un giorno così
sole così fiore") ora le sfumature dei sentimenti, degli
stati d'animo, dei comportamenti di ogni essere umano (e in particolare
dei suoi) ora i momenti dell'esplorazione di un organismo sino a raggiungere
le "cellule di cuore oscuro", come in "Felice bruciatura",
quelli del suo andare alla scoperta di una città, come in "Cagliari",
del suo doloroso attraversamento di luoghi di guerra, come in "Antipoesia"…
Naturalmente, però, le parole di nessuno sarebbero adatte a descrivere
tale desiderio e il modo di realizzarlo, come lo sono quelle (quasi
un manifesto poetico) di "Per conoscermi" e "Bagaglio",
che fanno parte dell'ultima sezione della raccolta e che bastano da
sole a renderla preziosa.
Passando ora ad analizzare il linguaggio usato, si nota ( cosa che è
già evidente in altre pubblicazioni) che, pur essendo sempre
quello, per varie ragioni, caratteristico della poetessa, esso viene
da lei plasmato secondo le sensazioni suscitate da fatti diversi (che
fanno parte del suo vissuto o di quello degli altri) o dallo stesso
fatto in momenti diversi, tanto da dare a volte l'impressione di un
duplice modo di esprimersi.
Alcune poesie, infatti, sono costituite da una successione d’enunciati
in cui è ben individuabile il soggetto (chi scrive o un'altra
persona) e un ruolo fondamentale è assunto dal verbo, in genere
al presente indicativo, all'imperfetto, al passato remoto. In altre,
invece, le sensazioni sono affidate ad un caleidoscopio di sostantivi,
d’aggettivi che richiamano suoni, colori, odori… mentre
il verbo viene usato in modo impersonale, se non è addirittura
assente. Può succedere anche che i due modi di esprimersi si
alternino nello stesso componimento e che ciò abbia l'effetto
di spostare l'attenzione del lettore da singole situazioni a momenti
comuni alla vita di ognuno, come accade, ad esempio, ne "Il male"
in cui una malattia si muta, negli ultimi due versi, "si diventa
albero sradicato / sogno mutilato", nella sofferenza di tutti.
Si verifica a volte, invece, il procedimento inverso, nel senso che
ciò che succede a migliaia di uomini in altri punti della Terra
entra a far parte della vita di chi scrive, come in "Protesta",
in cui la poetessa alterna, all'elenco degli orrori di un paese afflitto
dalla guerra, attimi in cui, intervenendo in prima persona, dicendo
di sé: "ho ululato", "ho lacerato il silenzio
nel profondo", "devo lottare per non distruggermi".
Per esemplificare, poi, come plasma il suo linguaggio quando, pur essendo
lo stesso il motivo ispiratore, fa riferimento ad esso in situazioni
diverse, prendiamo in considerazione due sue poesie che hanno lo stesso
titolo, "Inverno". In quella che fa parte di Acquaforte
questa stagione viene da lei associata (forse al fine di tradurre in
parole il senso di "incuria del tempo che corrode / dissonanza")
a un elenco di immagini dai colori smorti, attraversate da suoni smorzati,
quasi riprese a distanza, mentre quella che appartiene a Selva
invisibile le fornisce l'occasione per dichiarare, attraverso
un susseguirsi di verbi in prima persona, "sono amo scrivo vivo",
che vita, amore, poesia sono la stessa cosa.
C'è da notare, a questo punto, che è lei stessa a riflettere
a tratti sul suo linguaggio, tanto da affermare, in "Rapsodia di
silenzio": "muore la sintassi" oppure "non sempre
la parola è il verbo / a volte aria / nebbia / brina / acqua
in fermento / sospirare di foglie / nulla…".
E ora, per finire, altre due osservazioni.
La prima è che mancano in questa raccolta componimenti dedicati
a Perugia, presenti invece altrove. Si potrebbe forse ipotizzare che
il pensiero della città, probabilmente mutato, dopo anni, rispetto
a quello che era un tempo, se ne stia in un angolo nascosto della sua
mente, in attesa del momento adatto per uscire e trovare posto sui suoi
fogli.
L'altra è che questa pubblicazione si differenzia dalle precedenti
anche per la presenza di versi dedicati a due bambini speciali, i due
nipotini della poetessa, che diversamente dalla ragazzina che era lei
un tempo, protagonista di un componimento presente ne Il sorriso
del fiume e che termina con le parole "Ero. Avevo"
o dai "bambini addormentati" per sempre che s'incontrano ne
L'infinito amore (1986), vivono nel presente, fanno
tornare "la primavera" nella vita di chi li ama, sono "sementi
prodigiose di speranza".
E constatando così che nuovi motivi d'ispirazione si sono aggiunti
a quel "tutto" da cui, come dice Gladys, ha origine la sua
poesia, l'autrice di questa nota non può non concludere le sue
osservazioni augurandosi di leggere presto i versi che essi, dopo avere
"inciso dentro"di lei, faranno "scaturire".
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A chi e a che serve
la poesia?
di Massimo
Pasqualone
Una vasta gamma di risposte non esaurisce l’essenza
dell’interrogativo: poesia per comunicare, poesia per evadere,
poesia per riflettere, poesia come terapia.
Certo, anche la poesia come terapia: Febo Apollo era allo stesso tempo
dio della poesia e dio della medicina. Un medico romano del I secolo,
un certo Sorano, ai suoi pazienti consigliava, per le forme maniacali,
la tragedia, per le depressioni la commedia.
La moderna psicoanalisi ci insegna che la poesia esprime i contenuti
e i motivi più forti e contraddittori: è la poetry therapy.
La poesia diventa quindi una liberazione dalle costrizioni del presente,
dalle assurde regole di una società che si definisce postmoderna.
Per questo, come sosteneva qualche tempo fa Bruno Forte, “il nostro
tempo ha bisogno di poesia, perché essa apre all’altro,
all’ascolto, al tu; è il gradino che precede l’invocazione.
E ha bisogno di silenzio”.
La poesia come silenzio sembra un ossimoro, eppure riteniamo che la
prima qualità di una poesia che voglia aspirare alla perfezione
sia proprio il silenzio: è passato il tempo della poesia assordante,
del rumore lirico e parolaio di certa maniera tardottocentesca.
Oggi, alla poesia, si chiede intimità, serenità, pace,
tranquillità; in un’epoca impregnata di così profonde
lacerazioni, di così terribili scissioni, di così tremende
frantumazioni, la poesia fa da tramite per la ricostruzione, ontologica
e morale, di questi nostri tempi così travagliati.
Un silenzio che si materializza sulla carta perché la poesia
dell’anima, la poesia non comunicata non è vera poesia.
La poesia è sempre e comunque comunicazione, una sublime forma
di comunicazione, il momento in cui tra l’io e il tu si crea sintonia,
simpatia, anzi, oserei dire empatia.
La dialettica io-tu è perfettamente risolta dal gusto poetico,
senza mediazioni, senza eccessivi gargarismi critici, senza sofisticati
modelli ermeneutici.
L’accostamento alla poesia non deve essere mediato per essere
veramente efficace: la lettura autonoma e libera da costrizioni intellettuali
produce una delle più mirabili costruzioni della mente umana,
la polisemia ermeneutica.
Il lettore, di lui si dovrebbe parlar molto di più, anche più
del poeta, è in definitiva il vero artefice della poesia.
Sembra un paradosso, nessuno se ne scandalizzi, ma chi dà vita
alla poesia, non al testo poetico, si badi bene, è colui che
legge, che ripercorre quel mistero della creazione poetica che rievoca
il naufragio della coscienza di leopardiana memoria.
Riteniamo che l’incontro poeta-lettore sia pressoché impossibile:
facciamo finta di sintonizzarci, ma non captiamo i messaggi, soprattutto
quelli subliminali.
La lettura del testo poetico va intesa e sollecitata come emozione immediata
e bisogno-piacere inesauribile, nel superamento della tradizionale esperienza
del lettore catturato dal testo, con l’auspicio di una figura
di lettore partecipe-cooperante, del lettore-attore e, alla luce delle
più recenti acquisizioni ermeneutiche, del lettore-autore.
Come è stato giustamente detto “la poesia è essenziale
alla vita. Nessuno ne può fare a meno, nessuno può disconoscere
la sua importanza. Guardare il mondo senza un briciolo di poesia, senza
un pizzico di meraviglia, è fare di esso un luogo occasionale
e inanimato”.
Massimo Pasqualone
due volumi di poesia in vernacolo (Che ce ne freg’a me
e Vijate a te) ed uno in lingua (Agende Postmoderne)
e i saggi Il Pascoli conviviale. Tra poesia e filosofia,
1996; Dal valore alla vita. Considerazioni sull'etica di Francesco
Orestano, 2000, La dimensione etico-religiosa nella
poesia dialettale di Natale Cavatassi, 2000; Etica,
persona e ambiente, 2001; Primo Fiocchi poeta dalla
parte di Dio. La vita, il pensiero, la poesia, 2003; Per
una Pastorale delle Comunicazioni Sociali in G.Cocco-M. Pasqualone-D.
De Simone, Verso un nuovo Areopago. Per una introduzione alle
Comunicazioni Sociali, 2003. Insegna Filosofia Morale all’Università
G. D’Annunzio, Etica e Storia della Filosofia all’Istituto
Superiore di Scienze religiose “S. Pio X” di Chieti.
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Su FaraPoesia
recensione di Romolo
Scodavolpe uscita su Il Convivio, Anno VII, 1,
Gennaio-Marzo 2006
"Più che un libro, questo volume può essere considerato
una sorta di rivista, una occasione per conoscere uno spaccato piccolo
eppure variegato della produzione poetica di oggi in Italia": così
il curatore (ed editore) Alessandro
Ramberti presenta FaraPoesia
nella bandella. Apriamolo, questo libro in parte nuovo e, in ogni caso,
stimolante nel taglio e nella proposta.
L’introduzione è affidata a Stefano
Martello, giornalista e scrittore, che si addentra prima nel “perché”
di un’antologia e poi, sinteticamente ma puntutamente e con profondità,
nella poesia di Gladys
Basagoitia, Daniele
Borghi, Carmelo
Calabrò, Paola
Castagna, Narda
Fattori, Maria
Lenti, Roberto
Mercadini, Ardea
Montebelli, Andrea
Parato, Massimo
Pensante.
Poi arrivano gli autori. In poesia o in prosa, hanno già quasi
tutti pubblicato con Fara Editore: e questo è il primo motivo
- esterno al contenuto delle opere e alla poetica, per così dire,
degli antologizzati - che ha spinto Ramberti a mettere insieme voci
molto diverse per formazione, scrittura ed esiti.
Eppure… un filo li può congiungere o può essere
dipanato dai loro versi: il filo della riflessione, anche giocosa, sull’oggi,
l’interrogativo su un presente in cui ognuno è immerso
con le proprie idealità, la memoria, l’esserci, la corporalità,
l’ironia e l’adesione sentimentale, ecc.
Ramberti, inoltre, è stato mosso dal desiderio (tutto suo, immaginiamo,
e non sondabile, benché si possa rintracciare nella modalità,
orali e pubbliche, delle presentazioni delle sue pubblicazioni…)
di mettere in relazione tra di loro i poeti: l’uno presenta l’altro
e ognuno presenta se stesso. La varietà di voci è tale
da suggerire campi, anche semantici, di ricerca impensati e da far supporre
che il panorama della scrittura poetica oggi abbia voci non peregrine
e non flebili per quanto defilate dalla risonanza, più o meno
gridata, delle terze pagine quotidiane.
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