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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Numero 92
Agosto 2007
Editoriale:
Versi accidentali
“se fissiamo l'orologio in un secondo non possiamo
/ registrare che uno scatto, uno scarto del presente,”: così
Simone Lago ci ricorda la situazione umana, mentre
Andrea Parato afferma che “Poesia è un
accidente” e Paola Castagna vuole un lettore
“tra le righe”. Dopo la recensione all'ultima raccolta di
Narda Fattori e l'intenso ricordo da parte Caterina
Camporesi di Walter Ciapetti a cui è stato intitolato
l'omonimo premio, abbiamo i versi abilmente sinestetici di Vicenzo
Celli e il commento lucano di Padre Bernardo M. Gianni.
Buona lettura e buone vacanze!
Uno
scarto del presente
di Simone
Lago
Essere
Essere. Considera non possa coniugarsi
come la stella e il lume al cimitero, divisi
in modi ed apparenze, eppure luce. Potrai
chiederti cosa spinga l'una o l'altro a perdurare
più a lungo ad emanare in quale spettro e intensità;
eppure tu registri le peggiori e le migliori
cose con la stessa simultaneità – e martedì
la sera al bar hai detto di tuo figlio e la tv
un anno dopo le twin towers ed eri incinta:
“al crollo, un sussulto nella pancia ed ho sorriso” –
E quindi – dimmi, se sei d'accordo – dopotutto
se fissiamo l'orologio in un secondo non possiamo
registrare che uno scatto, uno scarto del presente,
oppure meglio se lasciamo scorrere lo sguardo
avantindietro, come l'anno scorso sul calare
di San Silvestro, sul pendolo in ottone, di riflesso
i nostri volti assieme deformati in un abbraccio
cadenzato e senza tempo;
ma riconoscersi è un inganno? Pensa al vecchio
Freud un giorno in treno fece un cenno di saluto serio
– come un buon borghese avvezzo alle maniere –
al suo volto catturato d'improvviso dal riflesso
in una porta, e il trauma poi del dirsi – sono
davvero pronto ad accogliere me stesso? Sono
l'io al di là dello specchio, paradigma mutuato
dal seme degli incontri? Sono davvero un desiderio? –
***
La cicatrice è il modo che conosce il corpo
per declinare l'essere al passato; il sesso
la voce che pronuncia ogni accento di una storia.
Al di là di questo dovrei allora io
considerare il ricordo dell'altra notte – appunto
è quello che mi chiedo cosa sia questo pensare
un ricordo se non rendere il presente virtuale –
l'altra notte – dicevo – qualche nota di fisiologia?
Ci siamo incontrati in una nube di altri fatti
(oh! – bada – questi fatti detta gente)
come un prodotto della mente di Max Planck?
Forse ci siamo appassionati troppo al cinema
di Hitchcock, alle vicende della donna
che visse due volte, all'uso del flash back
per poterci mai sganciare dal piacere
delle cose consuete e travestite in sicurezza;
come in vacanza sulla costa aspetti sempre
che la brezza di mare torni dopo
i sospiri della notte.
***
Ma credo a volte sia meglio dimenticare
tutto quanto si conosce attorno al sé; il volume
della voce, o quello fastidioso della pancia,
il nome degli amici, il proprio, le sillabe
che permettono di coglierti adesso in uno spazio
e chiamare quello spazio lo strappo dello sguardo
sul tuo corpo ben plasmato.
Dimenticare e farsi bastare la luce di una gita
al calare di aprile e distendersi
fra il maggese in divenire,
(lasciarsi alle spalle Virgilio e la bella Amarilli – la donzelletta…
–
omaggiare Sophia Coppola e le scene bucoliche in Maria Antonietta)
ed amarsi se la sera si fa d'oro,
lasciare che la notte sia sigillo.
Simone
Lago è nato a Cittadella (PD) il 24/12/1983. Vive in un piccolo paese nella provincia padovana, in una delle zone d'Italia col più alto tasso di aziende e col più basso tasso di quotidiani
letti. Studia lettere moderne: per precedenti studi di matrice scientifica
non ha mai incontrato i classici, e prova una considerevole invidia
per i privilegiati che possono citare i latini con cognizione di causa.
Ama la novella di Chichibio ma odia il proemio del Decameron. Ama la
straordinaria inventiva di un popolo quando si esprime nel proprio dialetto;
odia i tormentoni e le frasi fatte, le serigrafie sulle magliette, le
separazioni morfologiche tese a sottolineare la formazione etimologica
di un termine. Ama i docenti che si siedono sulla cattedra o passeggiano
gesticolando. Le parole dovrebbero sempre essere pubbliche.
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Ognuno
è poeta suo malgrado
(prima parte)
di Andrea
Parato
Sono un poeta triste:
non so se è ossimoro o ridondanza.
So che non ho il dono
delle freccia ironica.
So che qualcuno è dannato
a far ridere gli altri.
Il poeta ha in mano le nuvole
e le sa annodare.
Il poeta ha in mano un pugno di mosche
e le sta a guardare.
Del resto non ha molto da dire:
qualche parola ben messa,
qualche suono gutturale
per soffiare in una botte vuota
una nota forse sconnessa.
Voce alle poesie
che restano incompiute
alle parole in rima
non più usate
ai versi sospesi
a un ballatoio d’aria
che subito al vento scompare.
Ai desideri attesi
Senza perché o speranza
Ai moti illusori
della pancia.
Poesia è un accidente
incancellabile tra un giro
di spesa e i conti
a fine mese.
Andrea
Parato ha appena pubblicato con noi La Terapia del dolore,
inclusa in Specchio
poetico.
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Sì
di Paola
Castagna
Sì
Un Sì di nome
un Credo come cognome
voglio
lettore tra le righe
lì ti voglio lì
fermo
attento
le righe salvate
guardami mentre scrivo
Sì guardami
questo immenso
giorno dopo
la notte
il salato
dannato di lacrima oculare
oftalmico
mentre chiedo
voce
guardami mentre scrivo
Sì guardami
vita
che abbraccia
nel sentire
dentro
buio
notte
infilato
incastonato pensiero
guardami mentre scrivo
Sì guardami
una storia
anche oggi da raccontare
di quelle emarginali
guardala Credo
sì, sì guardala
stella o aurora
sento.
Abbraccio
Ho guardato
mentre gl’occhi stropicciati
a fatica vedono un risveglio
un leggero
sfioro turbamento
il verde delle pupille
irradia
nonostante sian rimasti
nella notte chiusi appena
questi occhi di filigrana
esser vigile
sul riposo
per non perder nulla
di un abbraccio
che amalgama la pelle
lieve il tuo braccio
stamane indolenzito
a fatica alzo il corpo
pesante e inerte
che leggero è apparso
accanto al tuo dormire.
La domanda
L’insieme di parole con cui si esprime il desiderio di sapere
qualcosa…
Qualcosa, l’uomo del sapere non ha saputo.
Qualcosa, l’uomo del pudore sfugge dalla mano, se sa rinnega pur
di non sapere
Qualcosa, l’uomo che cavalca l’onda è un cavaliere
errante che erra senza porsi domanda
Qualcosa, la donna guida nella notte impavida, vede l’alba prossima
nell’insieme di parole che partono all'improvviso, senza avvisare
nel girare una domanda, affondo il dito nella piaga mentre il letto
attende il riposo
Qualcosa, l’uomo che non si pone domanda attraverso altre risposte.
L’insieme di parole
con cui si esprime
il desiderio di sapere qualcosa…
domanda
risposta
gl’occhi nei tuoi vorrei
come unica parola che declino.
Domenica
Volo sul bagnato
senza esitazione
plano i pensieri
la tenerezza che sovrasta
ogni male
guardo
guardo e scrivo
dove nessuno
può vedere
al cospetto
la fragilità femmena
nel rigoglio uomo
l’uccello notturno
dalle ali appesantite
porta quel cibo
senza scadenza
senza odore di putrido
mentre il corpo
in decomposizione
alterna tra un bicchiere di vino
l’allegoria che manca.
Domenica mattina
Le campane suonano a festa, ricordo le domeniche passate
aggrappata ad una corda, quando le campane si suonavano ancora e saperlo
fare era un’arte.
Arte che i grandi insegnavano tramandando una cultura oramai disimparata.
Il campanile della chiesa nella quale non sono mai entrata rintocca
come un'emozione che dentro rimbomba.
Come tutte le domeniche mattina distante guarderò, senza vedere,
i passi silenziosi dei credenti che varcano la porta, un portone di
mattoni rossi.
Ed allora chiudo gl’occhi, rivedo il me bambina, che scompare
aggrappata a quella campana che mai rintoccherà i ritmi giusti,
pur essendone capace disimparo l’eleganza e la corda del tenere
mi lascia accasciata, stordita alla ricerca ancora di un capire.
Mentre la radio mi ricorda che è l’ora del notiziario,
cronache locali che mi fanno presente quanto ancora son viva.
Disgelo
Siamo il disgelo
quello antefatto
di un crimine al caldo
mentre depongo
le uova covate
nell’assenza
esistiamo
come neve
mai disciolta
da un sole
mai tramontato
le acque
al mulino
le pale
braccia
lunghe e pelose
sei quel lago
che non ristagna mai
mentre io, abusivo clandestino, deposito i rifiuti ai bordi della deriva
ti ostini a non vedere
e la zattera
perde le corde del tenere
quando naufrago
nei tuoi respiri
nel viaggio
hai messo in valigia
l’aria
senza preoccuparti
di quanta sia
l’apnea lasciata.
Notte
Cauta
con occhio sornione
risveglio
senza esser sveglia
nel giorno a venire
dipingo
sul volto segnato
una notte umida
nel saluto
l’odore sudato
di noi.
Paola
Castagna ha appena pubblicato con noi Lettera, inclusa
in Specchio
poetico.
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Su Cronache disadorne
di Narda Fattori
nota di lettura di AR
Pubblicata lo scorso giugno per i tipi di Joker
nell'elegante collana “I lapislazzuli” la nuova raccolta
di Narda
Fattori con postfazione di Mauro
Ferrari si presenta solida e compatta: forse a volte qualche lieve
indugiare su certi pensieri dolorosi o lessemi nostalgici o l'amore
per le letture che hanno formato indelebilmente il proprio approccio
con la scrittura poetica interrompono la compatezza del discorso, ma
si tratta di piccole cose (forse di necessari cali di tensione) che
non intaccano la bellezza complessiva e l'intensità di una voce
poetica davvero matura e incisiva: "mi schiaccia il peso delle
minuzie / sussulte neuronali nell'età ormai / della pazienza…"
(p. 7); "portatemi sul palmo soffiatemi l'aria / ch'io respiri
e mi si apra il cuore / il seme dentro il suo nocciolo" (p. 8);
"solo i morti hanno i piedi fermi / il silenzio chiuso nella gola.
/ (…) ora sono l'orlo di sabbia che la marea divora (p. 9); "…
volevo la sapienza dell'acqua / che fa il sasso docile multiplo"
(p. 14); "poca requie nei passi / sempre troppo lontano il cielo"
(p. 15).
Ci pare che il tono dominante sia quello idillico, con riferimenti non
solo alla natura ma anche a una fanciullezza e giovinezza che contrastano
il decadimento a cui va inesorabilmente incontro ogni corpo, così
come i brani di paesaggio o velate citazione letterarie possano appagare
la vista e l'ansia di chi fa il punto sul suo esser-ci e in fondo sul
senso dello scrivere ("sono un frullo di sillabe", p. 21).
Ma anche i gesti e le cose quotidiani (non a caso l'epigrafe è
sereniana) rientrano in noi e inevitabilmente, umilmente, lasciano traccia
e ci definiscono (spesso con una venatura tragica): "lavo piatti
sfoglio libri calpesto ombre / di incontri su brecce di sentieri / (…)
mi perdo nell'ardore amaranto / dei tramonti d'autunno / mi chiudo in
un bozzolo / e quasi non respiro. / (…) Mi ride dentro un destino
ingannatore / di falena spiaccicata / sul vetro del lampione."
(p. 16); "siamo solo una minuscola entità / che riempie
i libri delle biblioteche" (p. 22); "dentro ho un impavido
cuore – se pur leso – (p. 23); "Sugli spigoli acuti
il pensiero / non sa nulla di un oltre di là dal muro" (p.
26); "e del giorno andato ho memoria /selettiva poca immaginazione
di futuro" (p. 28). Quest'opera continua per certi versi il discorso
affrontato in Verso
Occidente forse con un taglio più meditativo e a tratti ironico,
per quanto sempre profondamente vissuto: "C'è posto anche
per i morti / nella mia grande casa / occupano poco spazio" (p.
37).
Nella sezione "Di noi disadorni", con epigrafe di Magrelli
(Come se si potesser riparare / la notte, / il vaso infranto, /
la lesione del cielo.) il tono si fa quasi filosofico e comunque
sovente riflessivo e metalinguistico: "La scrittura appartiene
al mondo / non è proprietà privata / (…) mente sulla
sua capacità di fare / silenzio e medicare il male / (…)
Al mercato un alfabeto innocente / non rende ragione ad alcuno scambio"
(p. 49); "Chi non ha storie se le fa raccontare / in digitale –
anche a puntate" (p. 51); "non fa chiara certezza il pensiero
/ dell'angolo oscuro da svoltare / senza neppure un cerino / per un
palmo di luce" (p. 57, questa immagine ci ricorda Raffaello Baldini,
certamente molto amato da Narda Fattori); "Le fredde parole s'incistano
/ in files di denti acuminati" (p. 64); "Siamo grumi di materia
insana" (p. 68); "di giorni senza onore / pronuncio la consonante
dura" (p. 74); "ma a scrivere le dita si fanno radici / terra
da abitare" (p. 79).
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Walter Ciapetti:
personaggio della Garfagnana da salvare
di Caterina
Camporesi
Proteggere e valorizzare il proprio territorio comporta
anche, e soprattutto, occuparsi degli esseri umani che lo abitano nonché
custodire il ricordo e il lavoro di quelli che lo hanno abitato. Walter
Ciapetti costituisce uno “splendido esemplare” della
Garfagnana. Ci vorrebbero la grazia della sua penna, la curiosità
che aveva per l’essere umano, quell’intuito psicologico
attraversato dalla sua inquietante ironia, per collocarlo nella galleria
dei personaggi garfagnini, da lui, così sapientemente, delineati
nelle pagine della sua rivista «La Rocca Poesia». Da parte
nostra ci accontentiamo di dare alcune note biografiche e bibliografiche
perché la persona e il suo lavoro non cadano nell’oblio.
Walter era nato a Castelnuovo di Garfagnana nel 1928 e qui ha quasi
sempre vissuto sino alla morte, avvenuta all’alba del duemila.
Aveva una grande passione per il lavoro editoriale e un concreto amore
per la sua terra. Senza aiuti istituzionali, con coraggio e generosità,
ha pubblicato con la sua piccola casa editrice artigianale tutte le
antiche storie sino ad oggi conosciute delle terre della Garfagnana.
All’ultima, Dell’Istorie della Garfagnana
di Valentino Carli, ha lavorato fino a poche ore prima di morire, con
l’intento di rendere via via più bella ed elegante la veste
editoriale. Ha istituto il premio “La Rocca Poesia”, giunto
alla ventitreesima edizione. Ha fondato la rivista «La Rocca Poesia»
che ha diretto con competenza sino al nono numero dandole un posto di
rilievo nel panorama delle riviste italiane. Con le Edizioni La Rocca
oltre ai libri di storia sulla Garfagnana, ha pubblicato innumerevoli
raccolte di poesie e di racconti oltre a quelle risultanti vincitrici
al premio. (Come si vede, Walter ricorre alla parola “La Rocca”
ogni volta che deve dare un nome alle sue imprese culturali: questo
ha il valore di un chiaro ed esplicito omaggio al suo paese, Castelnuovo
di G., del quale la Rocca è il luogo emblematico). Il terzo sabato
del mese d’ottobre, a volte coincidente con il giorno del suo
compleanno, organizzava la serata di premiazione. Erano serate “memorabili:
per la folta partecipazione dei concorrenti, per il clima di vivace
convivialità che precedeva e accompagnava la lettura delle motivazioni,
ma soprattutto per la scintillante arguzia e vitalità del patrono”,
come ricorda il professor Blasucci nell’affettuosa memoria apparsa
nel decimo e ultimo numero della rivista. L’ultima serata si è
svolta il 16 ottobre del 1999. Ci pare di buon auspicio il fatto che
ogni anno si presenti l’occasione per ricordare Walter, il quale
si nutriva di eventi e incontri culturali e mostrava interesse e curiosità
per il nuovo. Se l’anno scorso è stata l’uscita dell’ultimo
numero della rivista dedicato alla Sua memoria, quest’anno è
l’apertura di questo originale concorso,
per il quale ci auguriamo una vasta e qualificata partecipazione. Vogliamo
infine segnalare che Walter Ciapetti ha lasciato un vuoto anche nelle
persone che lo hanno frequentato per breve tempo e anche al di fuori
del suo ambiente abituale. Gianfranco Lauretano, direttore letterario
della rivista «Graphie» nell’editoriale del numero
di giugno lo ricorda “per la sua ospitalità, la sintesi
e la precisione dei suoi interventi, il gusto deciso del bello, netto
e dolce come la sua terra.”
Così tanti altri.
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Ho infilato una
strada qualunque
di Vincenzo
Celli
Cosa mi ha salvato
la mareggiata
ci ha restituito i corpi
dei cortili annegati di voci, di risa,
non sento più la forza
di quei luoghi che ci hanno posseduto
come febbre nel sonno
persi i sentieri
di chi giocava a sognare
non rimane che rigirare
le tasche vuote dei bambini,
qui, davanti al mare
spesso mi chiedo cosa mi ha salvato
ritrovandomi a pensare
alle fughe delle opere d'arte
fino alla nostra prima volta
quando con le mani mi dicevi
– amore fai piano –
***
a volte mi penso
sulla strada
sono solo un passante
che si ferma
ad allacciarsi una scarpa
approffittando per sbirciare
dentro un quotidiano
senza pagare
una notte come tante
ho appena finito di bere
una notte come tante
una notte che a tutti s'è data
e nulla ha chiesto in cambio
ho infilato una strada qualunque
come un calzetto spaiato
zoppica l'occhio oltre la trave
oltre quella porta che nella testa sbatte
blatera il giorno
la sua vergogna di mostrarsi nudo
e davanti a questo mare preoccupato
continuo a ferirmi le labbra con un pezzo di cielo.
Vincenzo Celli
nasce a Rimini il 2 luglio 1960, città in cui vive. Dopo avere
conseguito il diploma di maturità tecnica e dopo una breve parentesi,
come dipendente, entra nel mondo del commercio, attività che
svolge ancora oggi. Nell'ottobre 2005, scopre alcuni siti di scrittura
su internet ed inizia, prima, a leggere le poesie degli altri autori,
poi, a cimentarsi nello scrivere le proprie.
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Riflessione
sul brano del Vangelo di Luca 5,12-39 e 6,1-11
di Bernardo
Francesco Maria Gianni
Dopo la pesca miracolosa e la chiamata dei primi discepoli
(Lc 5,1-11), Luca, seguendo l'ordine dell'evangelista Marco, evidenzia
le prime difficoltà incontrate da Gesù e i cinque casi
di controversie con gli scribi e i farisei che riguardano temi importanti
per la vita degli ebrei; come la remissione dei peccati, il digiuno,
il modo di avvicinare i pubblicani e i peccatori, la guarigione di infermità
nel giorno di sabato. Un altro tema di questa sezione che caratterizza
il vangelo di Luca è il rapporto di Gesù con il Padre
attraverso la preghiera, per mantenersi fedele alla sua missione ed
evitare di cadere in un messianismo eclatante o in gesti di potenza
diretti al successo; perché non è questo l'agire di Dio
nella storia e nei confronti della sua creatura, alla quale non sottrae
la libertà di esprimersi e rispondere al suo amore.
Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto
di lebbra lo vide… "Signore, se vuoi, puoi sanarmi".
Gesù stese la mano… "Lo voglio, sii risanato!”.
E subito la lebbra scomparve da lui. (cf Lc 5,12-13). La città
non nominata si trova in Galilea perché siamo ancora in questa
regione. Il lebbroso si rivolge a questo Rabbi di Nazaret per ottenere
la guarigione: radicale è il gesto di potenza del Signore e significativo
è l'accenno di Luca che dà una chiave di lettura per tutti
i brani successivi: Gli ingiunse di non dirlo a messuno: Va' mostrati
al sacerdote e fa' l'offerta per la tua purificazione, come ha ordinato
Mosè, perché serva di testimonianza… (cf Lc
5,14). Tutto questo per dimostrare ai sacerdoti che nell'esercitare
questo suo potere soprannaturale non va contro alla legge ebraica: Gesù
in realtà ci presenta una linea che è in consonanza con
la verità e la volontà di salvezza del Padre, che mette
al centro la persona e si fa prossimo nelle situazioni difficili.
Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e
dottori della legge… la potenza del Signore gli faceva operare
guarigioni… alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico…
a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono… davanti
a Gesù… Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi
peccati ti sono rimessi” (cf Lc 5,17-20). La potenza del
Signore è il dono dello Spirito Santo che è sceso su di
lui nel Battesimo e l'ha condotto nel deserto e ora lo spinge a proclamare
la parola di Dio e nello stesso tempo ad operare guarigioni. Qui è
da sottolineare il ruolo della fede dei fratelli che portano il malato
davanti a Gesù e come questo brano serva a Luca per istruire
la sua comunità. Gesù, prima perdona il paralitico e poi
lo guarisce, vista la fede dei fratelli. Gli scribi e i farisei
cominciarono a discutere dicendo: “… Chi può rimettere
i peccati, se non Dio soltanto?” ( Lc 5,21). L'obiezione
è legittima, ma Gesù, penetrando nell'intimo degli scribi
e farisei li costringe a prendere atto che la stessa persona che ha
operato il miracolo ha anche il potere di rimettere i peccati. “…
Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla
terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al
paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua…”
(cf Lc 5,22-25). Gli storici sottolineano che una delle cose originali
è che Gesù non compie azioni magiche ma azioni di risposta
a chi si affida con fiducia alla sua capacità guaritrice, sia
morale che fisica. La prassi autentica di Gesù è questo
farsi prossimo a tutti i tipi di esclusione e rompere ogni delimitazione
tra sacro e profano come potrebbe essere, ad esempio, la questione attuale
dell'identità, anche in chiave religiosa tanto rimarcata, che
sovente è un paravento per erigere muri e non compromettersi
nel quotidiano.
Dopo… vide un pubblicano di nome Levi… e gli disse: “Seguimi!”.
Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì (cf Lc
5,27-28). Levi è da identificare con l'evangelista Matteo, come
concordano la maggior parte degli studiosi. I pubblicani, propensi a
commettere ingiustizie nella riscossione delle imposte, erano disprezzati
dai farisei. Luca, attenendosi all'ideale evangelico, rileva che Matteo
lasciò ogni cosa per seguire Gesù. Poi Levi gli preparò
un grande banchetto nella sua casa. … I farisei e i loro scribi
mormoravano… “Perché mangiate e bevete con i pubblicani
e i peccatori?” Gesù rispose: “Non sono i sani che
hanno bisogno del medico…” (cf Lc 5,29-32). Gesù
manifesta esplicitamente davanti agli avversari lo scopo della sua missione,
che consiste nella chiamata dei peccatori pentiti e resi docili alla
volontà di Dio. Allora gli dissero: "I discepoli di
Giovanni digiunano spesso…” Gesù rispose: “Potete
far digiunare gli invitati a nozze mentre lo sposo è con loro?
Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato
da loro…” (cf Lc 5,33-39). Gli interlocutori sono ancora
gli scribi e i farisei che fanno un confronto con i discepoli di Giovanni
il Battista che seguono una vita religiosa più severa, ma Gesù,
alludendo per la prima volta alla sua morte violenta, fa capire che
verrà il momento in cui i suoi discepoli digiuneranno in segno
di lutto. Quando si pensa a una riforma della vita religiosa, in generale
nella Chiesa l'idea è di tornare al Vangelo con un forte richiamo
alla dimensione ascetica; ma in questo c'è un rischio di compiacimento
e di sentirsi superiori agli altri: tema che Luca riprenderà
nella parabola «il fariseo ed il pubblicano» (Lc 18,9-14).
La sequela di Gesù non è una sequela che dà un'identità
forte da presentare agli altri e non intende delegittimare la pratica
ascetica che ha una funzione equilibratrice: ciò che più
conta è scoprire chi è il Dio che segui e il suo progetto
di salvezza.
Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare…
c'era là un uomo che aveva la mano destra inaridita. Gli scribi
e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato…
Ma Gesù… a conoscenza dei loro pensieri… disse
loro: “… È lecito in giorno di sabato fare del bene…?”
… disse all'uomo: “Stendi la mano!”. Egli lo fece
e la mano guarì… (cf Lc 5,6-11). Gli scribi e i farisei
legati a una interpretazione rigida del riposo sabbatico, in questo
giorno non prestavano le necessarie cure ai malati, ma Gesù interpella
gli interlocutori facendo loro osservare che il sabato è stabilito
dalla Legge per il bene dell'uomo; quando la legge va contro questo
scopo non ha più validità! E volgendo lo sguardo sui
presenti disse all'uomo dalla mano inaridita: “Stendi la mano!”.
A Gesù bastarono queste parole per operare il miracolo, tra lo
sconcerto degli avversari per questo semplice comando.
Bernardo
Francesco Maria Gianni è monaco benedittino olivetano dell'Abbazia
di San Miniato al Monte:
Monaci Benedettini di Monte Oliveto
Le Porte Sante, 34
50125 Firenze
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