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Titolo Faranews
 

FARANEWS
ISSN 15908585

MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE

a cura di Fara Editore

1. Gennaio 2000
Uno strumento

2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa

3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee

4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?

5. Maggio 2000
Il viaggio...

6. Giugno 2000
La realtà della realtà

7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale

8. Agosto 2000
Progetti di pace

9. Settembre 2000
Il racconto fantastico

10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi

11. Novembre 2000
Il mese del ricordo

12. Dicembre 2000
La strada dell'anima

13. Gennaio 2001
Fare il punto

14. Febbraio 2001
Tessere storie

15. Marzo 2001
La densità della parola

16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro

17. Maggio 2001
Specchi senza volto?

18. Giugno 2001
Chi ha più fede?

19. Luglio 2001
Il silenzio

20. Agosto 2001
Sensi rivelati

21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?

22. Ottobre 2001
Parole amicali

23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.

24. Dicembre 2001
Lettere e visioni

25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.

26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere

27. Marzo 2002
Le affinità elettive

28. Aprile 2002
I verbi del guardare

29. Maggio 2002
Le impronte delle parole

30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza

31. Luglio 2002
La terapia della scrittura

32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.

33. Settembre 2002
Parola e identità

34. Ottobre 2002
Tracce ed orme

35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano

36. Dicembre 2002
Finis terrae

37. Gennaio 2003
Quodlibet?

38. Febbraio 2003
No man's land

39. Marzo 2003
Autori e amici

40. Aprile 2003
Futuro presente

41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.

42. Giugno 2003
Poetica

43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?

44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM

45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi

46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario

47. Novembre 2003
Lettere vive

48. Dicembre 2003
Scelte di vita

49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro

51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia

52. Aprile 2004
Preghiere

53. Maggio 2004
La strada ascetica

54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?

55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004

56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso

57. Settembre2004
La politica non è solo economia

58. Ottobre 2004
Varia umanità

59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM

60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali

61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004

62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato

63. Marzo 2005
Concerto semplice

64. Aprile 2005
Stanze e passi

65. Maggio 2005
Il mare di Giona

65.bis Maggio 2005
Una presenza

66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica

67. Luglio 2005
Risvolti vitali

68. Agosto 2005
Letteratura globale

69. Settembre 2005
Parole in volo

70. Ottobre 2005
Un tappo universale

71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare

72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri

73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi

74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada

75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole

76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)

77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"

78. Giugno 2006
Varco vitale

79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero tempo, stabilità, “memoria”

79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006

80. Agosto 2006
Personaggi o autori?

81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?

82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo

83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica

84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?

85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)

86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare

87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”

88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio

89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007

90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”

91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)

92. Agosto 2007
Versi accidentali

93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?

94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…

95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo

96. Dicembre 2007
Il tragico del comico

97. Gennaio 2008
Open year

98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo

99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore



Numero 99
Marzo 2008

Editoriale: Una croce trafitta d'amore

Iniziamo questo numero con versi inediti di Adele Desideri particolarmente adatti, ci sembra, per il loro tono laicamente e sobriamente religioso a cui si ispira il titolo di questo editoriale, al cammino verso la Pasqua. Lo stesso dicasi delle vibranti poesie di Giovanna Fozzer e Raffaele Ibba che ci rivelano la possibilità di una poesia religiosa di alto livello. Abbiamo poi i versi di due giovani autori, Gabriele Quartero e Matteo Zattoni, che ci offrono con il loro timbro già ben identificabile e poeticamente riuscito, un interessante sguardo sulla (anche cruda) realtà. Vincenzo D'Alessio ci fa assaporare le pagine dell'ultima opera di Subhaga Gaetano Failla, e padre Bernardo ci parla della trasfigurazione come tappa del cammino pasquale di Gesù. La foto delle porte è di Corrado Giamboni che ringraziamo per la gentile disponibilità.

Vi ricordiamo il nostro concorso Prosapoetica 2008 e la kermesse di Firenze il 19 aprile. Buona Pasqua di ressurrezione!

Quando trafigge candido

di Adele Desideri

A TERESA

Come si fa a non perdonarlo,
Teresa,
quando trafigge candido.

Teresa, anima tenue,
dimmi che fare.
Che dire. Se amare.
Oppure morire.

Eri un dipinto,
ma il viso tuo lieve
si è tinto di nero
e di acre dolore.
E poi ancora amore.

Dolce animula,
madre infinita,
sposa sacra,
raccontami la vita.

Dimmi
il tenero cuore
che scorda il rancore.

Resta tra noi,
musa d’argento,
quieta, pacata
leggera, devota,
grata perché
il tuo figlio marito
non scorda ma vive
le nuove stagioni.

Foglia nel vento,
ti invoco, mia amica,
per questo tuo uomo
che spera, che teme
e ritenta la vita.

Resta con noi
e volgi il tuo sguardo
benefico e saggio
a questi due cuori
dispersi, turbati.
Ti prego, io prego,
e prego con te,
la luce tua mostra,
la notte sia giorno.
Noi che tremiamo
per te offriremo
le pene, le gioie
il pianto, la vita.

NON TI ASPETTO

Non ti aspetto nell’assediata Itaca,
non ti cerco nell’assolata Tebe.
Più vicino, più vicino
con le dita sfiora il vello scuro.
Come l’infante tocca e conosce
così le tue mani segnano
i colori dell’estate.
Nel contrappunto vocale
che brucia e corrode
accostati e dimmi
se quel che hai perso torna
e serba le nuove stagioni,
come il seme che muore per il frutto.

LA SOTTILE DIFFERENZA

Con te ho camminato nella notte sulle stelle,
ho sognato nelle onde tra gli scogli,
ho raccolto la rena nel mio grembo.
Tu guidavi il carro festoso e credevi
amiche le rotte. Sognavamo il paradiso
della terra fertile tra il Tigri e l’Eufrate.
Abbiamo invece solo fermato il passo
per scorgere tra i tuoi occhi e i miei
la polvere opaca, il lacerto infetto,
le mani sporche. Siamo mortali, Amore
ci visita, alza le spalle e ci dimentica.
Mi passo un dito sulle guance mentre dipingo
la sottile differenza tra il sorriso ed il pianto.

MENTRE INTANTO VIVI

È un’attesa dura
gelida.
Come cavalla senza prateria
scruti l’attimo oltre il recinto.
Vagheggi quel che manca
alla sirena per essere donna.
Gambe e piedi a camminare,
in bocca il canto che balbetta
e dal deserto grida.
Quel trascorrere lento
verso l’ignoto,
mentre intanto vivi.

IO CHIEDO

Io chiedo il perché
di ingiurie, rancori
e rabbie.

Io chiedo il perché:
i vostri nervi accesi
e i vomiti di castighi
non resi.

Io chiedo il perché:
le tante offese
e i sacrifici mal spesi.

Io chiedo il perché:
lo stomaco infetto
lo scompiglio che urla;

il ciarpame ti veste,
mio fiore di seta,
ti offendi e denudi.

Io chiedo il perché:
il rancore fa strage
il mestiere è villano
il cuore è per sé.

Nelle mie mani
le fatiche dei giorni,
nelle rughe degli occhi
l’amaro inghiottito,
nel ciglio che trema
lo spasmo di un’ora,
nel ricordo svanito
il coraggio dell’alba,
nelle notti ferrose
l’attesa nervosa
di un sole già smunto.
I miei sensi malati
sono lame di ferro
nella pelle d’avorio.

Ma se c’è una croce
trafitta d’amore,
se c’è un Cristo
abbandonato e risorto,
io vi chiedo il perdono
per queste pezze amorose
con cui vi ho vestito,
per il pezzo di pane
con cui vi ho nutrito.
Un po’ di pace,
vi chiedo,
mentre l’anima inquieta
non dorme,
e canta come la viola,
quando geme.

Adele Desideri, poetessa, critica, studiosa di fenomenologia delle religioni, vive e lavora a Milano. Ha pubblicato Salomè (Il Filo, 2003); Non tocco gli ippogrifi (Campanotto 2006); le plaquettes Aforismi e Hommage à Piero Manzoni (Pulcinoelefante, 2005). È inserita nelle antologie Officina della percezione II (Anterem - Biblioteca Civica di Verona, 2006), Milano in versi, una città e i suoi poeti, a cura di A. Gaccione (Viennepierre, Milano, 2006); Con gli occhi di un gatto, a cura di Vera Ambra (Akkuaria, Catania, 2007). Finalista al Festival Nazionale di Poesia Italiana Città di San Pellegrino Terme 2006. Più volte menzionata al Premio Lorenzo Montano. Ha vinto il IV Concorso Internazionale di Poesia Giuseppe Longhi (Romano di Lombardia, 2007). È stata intervistata nella trasmissione Caleidoscopio, a cura di Andrea Bobbio, radio PNR, giugno 2007. La poesia Inganno (da Non tocco gli ippogrifi) è citata nella tesi di laurea di Carla di Quinzio, Dopo il figlicidio come dare spazio alla speranza, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Milano, 2006. Sue poesie sono state pubblicate sui blog www.lapoesiaelospirito.wordpress.com, www.liberinversi.splinder.com e La colpa di scrivere. Ha pubblicato poesie, saggi, recensioni su numerosi siti, quotidiani e riviste: Poesia, La Mosca, Le voci della Luna, Poliscritture, La Rosa nel Cristallo, La Clessidra, il Cavallo di Cavalcanti, www.lietocolle.com, www.lattenzione.com, www.bottegascriptamanent.it, El Ghibli, www.rebstein.wordpress.com. Collabora alle pagine culturali del Quotidiano della Calabria. I suoi libri sono stati recensiti, tra gli altri, su: Corriere della Sera, L’Unità, Il Giorno, La Nazione, CalabriaOra.

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Su La signora Irma e le nuvole

recensione di Vincenzo D'Alessio G.C.F. Guarini Montoro Inf. (AV)

Continua la bella prova di scrittura di Failla. Con questo nuovo libro, che contiene quasi trenta racconti, conferma la vena “surreale” nella scia degli scrittori meridionali. Il sud della nostra penisola non ha smesso nel corso dei secoli di donare alla letteratura nazionale ottimi talenti: tra questi vorrei ricordare Andrea Di Consoli, Carmine Abate e Saverio Strati. Un filone che dalla Calabria alla Basilicata sta trasmettendo tutta l'energia del calore del Sud.
Oltre al calore della parola trasognata, Failla affida questa volta agli elementi chimici l'ergologia territorio-viaggiatore. Colori stupendi che svolgono un ruolo fondamentale nella scrittura onirica e nel trasporto nel mondo surreale ideato dall'Autore. Oserei definire una forza primigenia fondante sull'energia della memoria.
Tra tutti i racconti inseriti nel presente volume, ce n'è uno, in particolare, che ha attirato la nostra attenzione: “Calendula” (pp. 14-34). Una trama come una pagina di diario dove colori, sapori, gioco, invenzione, ironia rivelano la partita tra lo scrittore e sé stesso. L'amore per la terra natale – madre matrigna – richiamato più volte. L'allontanamento con il desiderio di “uccidere” il passato trasferendosi – in modo forzato – in un luogo e tra gente dove si ha la consapevolezza dell'infanzia come rifugio del transfert temporale nella riuscita del racconto. Toni stupendi e nitida scrittura. Bella come le pagine incisive di Strati del romanzo Mani vuote o della Festa del ritorno di Abate. Un Sud lancinante, metafisico nel racconto di Failla ma pur sempre riscontrabile, che si offre con un continuo parallelo nella scrittura degli emergenti che si sono allontanati dai luoghi d'origine. Ascoltiamo questo passaggio ci “Calendula”: «Chiamai la mamma. Ella giunse ad accarezzarmi il viso e i capelli. Infine mi baciò sulla fronte: “Domani ti comprerò un nuovo cavalluccio marrone” disse “molto più bello di quello rotto.” M'incamminai nel sonno con il suono della sua voce ad accompagnarmi.» (p. 23).

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E rammendo preghiere al tuo canto

di Raffaele Ibba

Magnifica opera tua è l’amore,
soave libertà tu sei.
Ecco: la vita.
Il tuo tripudio è il basso sorriso
che fiorisce a questo cuore grigio, senza petali,
e con spini ad aghi da render lievi e tenui
alla tua danza svelta in me e pronti
alla carne sangue del tuo cuore albero,
la nata dal tuo legno di ferite felicità,
dalla tua croce di vita,
da te, rupe che ci fai semi
di questi fragili steli d’erba irresistibili nei fusti
di una capelvenere densa di fame di quell’acqua
che solo tu ci spezzi in pane cibo,
da te con te in te per te, tu,
muto agnello, accogliente sposo, amico mansueto, insaziato amante,
il più forte, più dolce, più casto, tu,
tenera fonte sorgente, intima
di vita per ogni vita che cresce,
cuore del tuo farci tuo cuore, intimità pulsante,
tu, corpo santo, tu mite: Figlio Dio Spirito, tu.

E rammendo preghiere al tuo canto
da fili di parole amorose ai tuoi occhi,
i limpidi delle tue viscere, del tuo ventre,
amore del tuo farti incinta di doni, tu,
frutto di una castità fertile
di figlie giustizia, di pace e leggiadra libertà,
tu, muto amore
vero ogni volta che sorge il sole che t’avvicini,
e mi prendi per mano e m’alzi alla tua bocca che ci avvampa
col tuo crudo divino:
e accendi scavi di fuoco nel mio cuore, qui,
dov’è senza stanchezza ogni canto al tuo corpo,
a questo bello della tua abbondanza sapiente
di spighe di gioia, benedette
dal tuo nome e nel tuo nome, Nome Benedetto,
nome pubblico e segreto, alto abisso d’amore:
il tuo nome libero:
– nome di donna – nome d’uomo – nomi corpi – volti legati –
– copula solidale – amplessi vite –

nome della tua opera febbrile, costante
nell’instancato moto del tuo eterno
capace fino madre d’amore tu,
amato amante, tu amore,
frutteto di bene senza muri, vigna di dolcezze a cielo aperto, tu,
mano rotta a dono, a vita, a carne,
fioritura di fiori di miele,
corsa che corre al mare più intimo, all’oceano, al sole,
a te Nome Santo e Trinità Dio, tu,
nido di baci a fuoco splendore su questi neri geli,
tu, caldo beato,
unico bene, tu, unico sposo re tu.

Cristo, Gesù.
Semplicemente, Gesù:
Gesù mio,

Raffaele Ibba è nato nel 1950 a Cagliari, città dove vive e lavora come insegnante di storia e filosofia nei licei. Si dedica alla poesia in modo intenso dal 2000, per una sua neccessità intima di vita e di cuore. Ha pubblicato due libri di poesia con le Edizioni della Meridiana di Firenze: Il disonore dei canti nel 2003 e La verità bugiarda nel 2006.

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Cantiamo insieme la presenza

di Giovanna Fozzer

DALL’ALTA TERRAZZA

È forse un mescolare
quel che diciamo poetico?
Al vero immediato si uniscono
nel contemplare e nel rimembrare
(quasi incrostazioni marine
sul grande dolio di Terracina)
gli elementi di cui sono ricche
le acque nostre interiori:
crostacei, alghe e conchiglie,
ed altre forme della grazia,
del cuore-memoria
(che non sempre sappiamo
di nutrire in noi).

Cantiamo insieme la presenza
e l’assenza, l’immediato
e il lontano, e l’uno dà forma
e senso reciproco all’altro.
Dalla tomba ripenserò, rivedrò
il natante che punta al largo e
pare d’argento, sul cobalto
profondo della lontananza.

CREATURALE

Dici: creatura, ma tu non pensi
d'abbassare l'uomo, o d'innalzare
passeri vipere tigri, gatti
scarabei e falchi, pesci minimi o favolosi.

Tutto è identicamente pari, e tutto
al suo posto, nell'incommensurabile.

In quanto esiste, la creatura è amabile,
e tu la ami, in quel tuo allagarsi
del cuore, in quel dare tepore e protezione
che vorresti per loro e – certo – per te.
Carezzare vorresti, essere
culla, modellato guscio d'ogni gheriglio:
creature alate, terrestri e marine
sinuose geometrie della vita.

VITE

Nera ormai, sradicata
dal suolo indurito,
crocifissa stai, sospesa
all'ulivo dalla breve
chioma
selvatica d'incuria.


PIUMA

Piuma di falco
ondeggi picchiettata
nel cielo di pensieri e fantasie

Piccola culla curva navighi ad alta quota
ti sorregge filante
il vento leggero

Con braccia invisibili amorose
non vuol lasciarti e ti conduce piano

Nella culla di piuma sta raccolta un’anima



CANTICO DI DANIELE

Benedite, opere tutte del Signore, il Signore
lodatelo ed esaltatelo nei secoli [...]

Le lodi,
come si sgranano ciottoli grondanti
nel rifluire della risacca,

come la rossa cascata
della melagrana che s'apre,

come innumere palpitare di luci di cielo,

come il vivo pullulare della fiamma
tra i legni accesi del camino,

come un sorriso estatico che si dirama,
cresce e danza tra angeli, acque, stelle,
brine e folgori, mostri e animali,

tra giusti e pii e umili di cuore.

Giovanna Fozzer è saggista, traduttrice, narratrice e poeta. È autrice della biografia Tina e i suoi (Venezia-Mestre 1994) e della biografia immaginaria Nello specchio di Margherita (Firenze 2001), entrambe originate, in modi diversi, dalla lunga frequentazione dell’opera di Margherita Porete, Le Mirouer des simples ames, di cui G. Fozzer intraprese la versione nei primi anni Novanta, dopo circa sei secoli che quel testo spirituale non veniva tradotto in italiano (Cinisello B., 1994/99). Nel campo della mistica speculativa Fozzer aveva prima tradotto Cherubinischer Wandersmann di Angelus Silesius (Cinisello B., 1989/92/2004), il poeta barocco epigono del pensiero di Meister Eckhart. Del 2005 (Brescia) è la pubblicazione della sua traduzione (pare certo sia la prima nella storia) dei Sexcenta monodisticha sapientum, del poeta barocco Daniel von Czepko, maestro di Silesius, con il titolo Sapienza mistica.
Come studiosa di Cristina Campo, Fozzer ha curato per Scheiwiller, con Monica Farnetti, Per Cristina Campo. Atti delle Giornate di Studio (Milano 1998) ed ha curato altresì C. Campo, L'infinito nel finito, Lettere a Piero Pòlito (Pistoia 1998) e Andrea Emo, Lettere a Cristina Campo (Bologna 2001).
È attenta agli aspetti più classici della poesia contemporanea (studia in particolare l’opera di Francesco Giuntini e Piero Pòlito). Ha portato alle stampe (tra il 2003 e il 2004) l’inedito poeta calabrese Enzo Agostino (Gioiosa Jonica 1937-2003), studiandone la poesia in lingua e quella in calabrese gioiosano; continua a promuoverne la conoscenza con vari studiosi, tra i quali: Franco Contorbia, Caterina Verbaro, Margherita Pieracci Harwell, Renzo Gherardini, Gaetano Rizzo Rèpace, Francesco Piluso.
Le raccolte di poesia di Giovanna Fozzer sono, dopo Piazza d'Orbetello (Firenze 1986), Senza perché (Firenze 1997), Un tuffo al cuore (Firenze 1998), La forma quieta (Firenze 2001). Nell’aprile 2006 (Firenze) è uscito Repertorio d’infinito. È stata per quasi dieci anni alla presidenza della Sezione Letteratura del Lyceum Club Internazionale di Firenze, organizzando tra l’altro il Convegno su Cristina Campo (1997) e quello su Margherita Guidacci (1999); gli Atti di quest’ultimo sono usciti presso l’editrice Le Lettere (Firenze 2001). Una sua relazione sarà pubblicata nel volume che il Lyceum prepara per i cento anni dalla fondazione (2008).
G. Fozzer cura ogni anno due presentazioni di libri per l’Associazione Pianeta Poesia di Firenze, diretta da Franco Manescalchi, ed in agosto, per la Biblioteca Intercomunale di Fiera di Primiero (TN), il ciclo dei Mercoledì della Poesia. È anche in altri contesti organizzatrice culturale. Recentemente ha partecipato al Convegno della Fondazione Il Fiore in Firenze, 23-24 marzo 2007, dal titolo “È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo”, ed è presente nel volume degli Atti edito da Passigli 2007 con la relazione “Spirito, spirituale e poeti del Novecento». Ha partecipato altresì al Convegno “Cino da Pistoia e i poeti d’oggi”, tenuto a Pistoia il 7 giugno 2007, promosso da Giorgio Poli nel Quarantesimo del Premio di Poesia Borgognoni. È stata Presidente dell’Associazione Amici di Venturino, il grande scultore valdarnese, sommo cantore anche di Pinocchio, nei due anni (2000-2001) della sua esistenza.

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Riflessione sul brano del Vangelo di Luca 9,18-36
la lectio divina settimanale all’Abbazia di San Miniato al Monte

di Bernardo Francesco Maria Gianni (v. anche qui)

Riprendiamo il brano del vangelo di Luca per commentare la trasfigurazione, che fa da preludio al cammino di Gesù verso Gerusalemme, soffermandoci, prima di tutto, su alcuni passaggi fondamentali che sono la professione di fede di Pietro e il primo annunzio della passione. «Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui… domandò: Ma voi chi dite che io sia? Pietro, prendendo la parola, rispose: Il Cristo di Dio» (cfr Lc 9,18-20). Questa sorta di consacrazione non predispone Gesù ad alcun trono, ma addiriturra prelude a un cammino di sofferenza: «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). Gesù ci dice che la predilezione del Padre manifestata durante il battesimo: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (cfr Lc 3,22) si traduce in un disegno di sofferenza. Questo fondamentale versetto ci viene offerto da Gesù, che ha la capacità di rovesciare la croce in una prospettiva di vita nuova, perché anche nella nostra esistenza è inscritto un percorso di sofferenza: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (cfr Lc 9,23-24). In questo perdere la vita per Gesù s'intravede l'intuizione della fede e l'invito a consegnare il nostro limite, la nostra sofferenza ed a farci coinvolgere nel grande movimento di salvezza che precede la Pasqua e che è la luce del Tabor.

«Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e sali sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,28-31). Gesù si mette in cammino verso la montagna, che è la simbolica della solitudine e del raccoglimento, insieme ai suoi compagni di viaggio, e in quanto uomo e figlio di Dio ha bisogno come noi di pregare il Padre che è in ascolto della nostra umanità. Il Tabor è a metà strada tra i primi movimenti di Gesù, il suo calvario, la sua Pasqua, ed è anche il monte che sta a metà strada fra i nostri primi passi di credenti accomunati ai discepoli da qualcosa di molto importante: «Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui» (Lc 9, 32). Il Padre lascia che il corpo di Gesù si manifesti nella trasfigurazione affinché possiamo vedere l'incarnazione all'opera, possiamo vedere colui che ha conosciuto la debolezza umana e che fatto esperienza della potenza divina. Ancora una volta il Tabor è un'anticipazione della Pasqua, ma nell'orto degli Ulivi i discepoli presi da grande tristezza dormiranno profondamente: «Poi rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza» (Lc 22, 45). Gesù non sperimenta più la luce del Padre e inizia un cammino di solitudine che lo porterà alla morte; i discepoli ne sono rattristati perché hanno dimenticato la prospettiva luminosa del Tabor e che Gesù dovrà risorgere il terzo giorno. «E disse loro: Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22, 46). E' la tentazione della non fede, cioè di ritenere che non c'è possibilità di relazione con Dio: è una tentazione seria che tocca la nostra fragilità e per questo è importante leggere e ascoltare la parola di Dio, perché così aiutiamo la nostra memoria e il nostro cuore a rendersi conto delle dinamiche della nostra vita di credenti, invitati alla luce anche quando è buio.

Gesù sa che il suo amore conoscerà la reazione degli scribi, degli anziani e dei sommi sacerdoti che vorranno soffocare questo amore gratuito, ma noi vogliamo fare memoria di questo e restare svegli nel contemplare la gloria – cioè lo splendore luminoso che nell'Antico Testamento caratterizzava la presenza di Jahweh – che il Padre ha donato al figlio mentre era in compagnia di due figure fondamentali dell'Antico Testamento: Mosè perché ha consegnato a Israele la legge; Elia perché è la grande voce dei profeti. Mosè ha sperimentato la sollecitudine di Dio: «Il Signore disse: Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grida a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto…» (cfr Es 3,7-8); Elia ha invocato il Signore: «Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore» (1 Re 18,37). Mosè ed Elia hanno perciò tenuto aperto un canale di relazione fra Dio e la sua gente, hanno invocato e chiesto al Signore che si manifestasse e conducesse il suo popolo a un cammino di riscoperta del primato della sua parola contro tutti gli idoli.

Nella trasfigurazione sul Tabor s'inverte la storia della nostra fragilità, ed è per questo che Pietro e i suoi compagni, nonostante la stanchezza, sono svegli e vedono la gloria, talché Pietro propone di fermare la storia, la nostra vita: «Maestro, è bello stare qui. Facciamo tre tende… Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura» (cfr Lc 9,33-34). Questa è la nube che ha accompagnato il popolo d'Israele lungo il cammino che li portava fuori dall'Egitto, quindi questi discepoli sono perfettamente inseriti nello stesso spazio di gloria in cui è Gesù, Mosè ed Elia. Il Signore Gesù ci invita a camminare con lui nella storia, perché avendo sperimentato fino in fondo il nostro dolore può rovesciare la dinamica del limite e della provvisorietà. Scrive Cirillo d'Alessandria, un grande padre della Chiesa, riferendosi proprio al momento in cui Gesù ci fa vivere un'anticipazione della Pasqua: «Essendo il suo compito all'inizio e non ancora portato a termine, come poteva il Cristo venuto al mondo per amore non voler più soffrire per esso?» Questa è la cosa straordinaria, perché Pietro sta dicendo a Gesù di restare sulla collina, di evitare la croce, la morte. Ma se Cristo è venuto per amore non poteva non soffrire per questo mondo, perché non si dà amore che non ci renda vigilanti e appassionati per i destini dell'esistenza delle persone che amiamo. «E dalla nube uscì una voce, che diceva: Questi è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo» (Lc 9,35). Questa è una cosa fondamentale perché siamo invitati da questa voce a fidarsi di Gesù che, a un passo dalla gloria luminosa, preferisce discendere in un itinerario di dolore per portasi dietro una scia di luce che illuminerà anche la nostra vita.

«Il giorno seguente, quando furono discesi dal monte, una gran folla gli venne incontro. A un tratto dalla folla un uomo si mise a gridare: Maestro, ti prego di volgere lo sguardo a mio figlio, perché è l'unico che ho. Ecco, uno spirito lo afferra e subito gli grida...» (cfr Lc 9,37-39). Gesù si è così rimesso in cammino per guarire la sofferenza dell'uomo; non è rimasto sulla collina come gli aveva proposto Pietro; e prosegue così questa dinamica di donazione, di prossimità alla folla che gli viene incontro. Non è un destino quello di Gesù, ma una libera accoglienza di un disegno che il figlio intuisce nell'orizzonte di amore del Padre, per restituirci la dignità e la pienezza della nostra divinità e vincere la morte, la sofferenza, il peccato; perché noi siamo in una situazione di prigionia e il peccato ci appartiene anche quando non lo vogliamo, come Paolo dice ai Romani. Siamo creature che mendicano il cielo, ma nello stesso tempo sappiamo che Gesù è l'unico che può liberarci da questa solitudine tragica. Il Tabor è il luogo in cui tutto è anticipato con un orizzonte di gloria futura: «Questi è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo» ( cfr Lc 9,35). Noi dobbiamo avere fiducia nel cammino che il Figlio fa sostenuto dal Padre e non è facile, infatti, terminata la voce, Gesù resta solo. È l'anticipazione della solitudine di Gesù sulla croce, non dimentichiamocelo! Gesù è davvero l'unico che può farci vera compagnia.

Bernardo Francesco Maria Gianni è monaco benedittino olivetano dell'Abbazia di San Miniato al Monte (lectio.divina@libero.it)
Monaci Benedettini di Monte Oliveto
Le Porte Sante, 34
50125 Firenze

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Il discrimine è sfumato

di Matteo Zattoni

DI FRONTE ALLA CONFESSIONE DI UN CARNEFICE

Trema il lacchè. Lo schiavo ride.
Il carnefice affila la scure
.
Iosif Brodskij

Non voglio le tue spiegazioni, che non c’entravi
se comandavano altri che colpa ne hai tu
eseguivi soltanto gli ordini, in questa menzogna
che, attraverso te, la storia ora ci consegna
nella speranza che qualcuno ci creda
che non avevi scelta – mentre c’era c’era!
si perpetua lo scandalo di uomini che furono
automi e solo poi rifiutarono i crimini compiuti
in nome di altri, certo, ma con le loro mani
e io con le mie lo scrivo di quel possibile
bivio a cui quelli preferirono l’oblìo, preferirono
senza capire che lì era Dio
a chiamarli a quella prova terribile e decisiva
non per le vittime, ma per la loro vita.

LA FESTA DEL CANE SECCO

La rivolta partirà dalle cantine dalle stive
dei mercantili in rotta per Rotterdam
nessun segnale convenzionale, ma tutti salteranno
in piedi a quel segnale
come dopo il morso della tarantola nascosta
tra i sassi della spiaggia, non ci scapperà
nessun morto grazie all’antica
terapia musicale
il tarantolato riprenderà presto a parlare
ecco la ridda danza ossessiva
del mondo con ciclici movimenti e un complesso
simbolismo, i morti non si uccidono
tra loro e se si accumulano in casa puzzano
di lebbra e di colera, l’epidemia
dei topi, il male oscuro…
state tranquilli, vi uccideremo a secco
il cane e lo appenderemo aperto in veranda
così tutti vedranno che stava male
perché andava soppresso.

 

ULTIMI SEGNI DELL’APOCALISSE

Generazione tatuata coi tatuaggi
sulle gambe e sulle braccia allentati
per le carni marce e invecchiate
qualcuno dovrà pure pulirvi il culo
senza più cellule cerebrali
– sarà stato l’abuso di coca
e tivù, se mi chiedi chi
sono per la quarta volta
e per la quarta volta non so
darti una risposta che vada oltre
il mio nome, so che dieci
dovranno lavorare per mantenerne
mille attaccati alle macchine
e un semplice black-out basterà
a farci rimpiangere la morte
prematura, ma naturale
ho visto in un video la bestia
dalle sembianze umane
sgozzarne un’altra simile
tenèndola ferma come un maiale.

Matteo Zattoni è nato a Forlimpopoli nel 1980. È laureato in Giurisprudenza. Suoi versi sono stati pubblicati su varie riviste e antologie tra cui: Specchio, Nuovi Argomenti, Capoverso, Gradiva, Confini, La gru, Nabanassar, Faranews, La costruzione del verso & altre cose, Il segreto delle Fragole 2004, Poeti romagnoli d’oggi e Giovanni Pascoli (Il Ponte Vecchio 2005), La riqualificazione urbana e altre poesie (Coen Tanugi Editore 2005), La realidad en la palabra: Escritores italianos del siglo XX y nuestros días (Editorial Brujas 2005), Orchestra – numero uno (LietoColle 2007), Scorie contemporanee (2007) e Poeti romagnoli d’oggi e Charles Baudelaire (Il Ponte Vecchio, 2007).
Ha vinto la Sezione Giovani del Premio Aldo Spallicci 2003. La sua prima raccolta, Il nemico (Il Ponte Vecchio, Cesena 2003), si è classificata al I posto ex-aequo per l’opera prima al Premio Giuseppe Giusti 2003. È stato incluso nell’Antologia Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004). Ha vinto il concorso Opera Prima 2004, pubblicando Il peso degli spazi (LietoColle, 2005), che è recensito sull’Almanacco dello Specchio 2006.

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Preparativi di fuga: 5 poesie

di Gabriele Quartero


Preparativi di fuga

Nessuno ha dato seguito ai tuoi segni,
stanne certo. Tutto quell’arrancare
non ha relazione con questo presente
ignorato, senza nome – fuori tutto è calmo

In ogni caso un tentativo lo si deve
pur fare. Per cosa, tentare? Ma per lasciare
una volta tanto ogni sospetto
indietro, per non dovere per non
essere sempre attenti a giustificare
ogni scatto inconsulto.

I vasi stanno ancora al loro posto;
idem le sdraio sul terrazzino, l’ombrellone.
Certo nulla è cambiato, nonostante il tardo
autunno. Hai lì poche cose, giusto il
necessario per far perdere, di te, ogni traccia.

***

Non noi abiteremo queste case
di nuovi indifferenti inquilini,

il tempo che dalla finestra
scorre sottile ci lascia

qui, non sa che farsene di queste
o altre scorie. Il condizionale

non traduce il futuro.


Il divano

La luce di sera non sempre
arriva a smorzare i contorni
di questa stanza;
lì dentro il divano attende
immobile il rientro –

uno scatto di serratura
una frattura
stridente
inospitale
spezza il dialogo fin qui
silenzioso – gli interlocutori

(due poltrone un tavolino
il divano ancora ingombro
delle nostre faccende)

appaiono sorpresi:
poi, indifferentemente,
cicaleccio di pioggia o di televisore.


I dimenticati

Le unghie sanguinanti
scavano fino alle ossa nere
di questa casa, lì dove
riposano i dimenticati.

Sono giunti fino a noi
per vie misteriose, impervie;
hanno scampato ogni epidemia

fino al nostro sangue.
Riposano. Nessuno li conosce.
A volte ci abitano.

***

L’impianto di riscaldamento
gorgoglia in penombra, una
piccola intima accensione
t’avverte scrollando muri
interstizi tubature termosifoni…
Del resto la casa tutta è parte
di questo cominciare. Un sangue
nuovo offertosi ogni volta –
quel che ti distrae s’infila
dalla finestra, tu sulla soglia
ad attendere l’occasione di poche
righe, che ti cauteli da possibili
omissioni, e ogni atto si ripete
è intriso della stessa sostanza
di te che svogliatamente
ripassi i luoghi conosciuti
senza null’altro – svanendo.



Gabriele Quartero, nato aVercelli 1972, si è laureato in letteratura inglese. Ha lavorato come grafico e attualmente insegna alla scuola media.

 

 
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