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FARANEWS
ISSN 15908585
MENSILE DI
INFORMAZIONE CULTURALE
a cura di Fara Editore
1. Gennaio 2000
Uno strumento
2. Febbraio 2000
Alla scoperta dell'Africa
3. Marzo 2000
Il nuovo millennio ha bisogno di idee
4. Aprile 2000
Se esiste un Dio giusto, perché il male?
5. Maggio 2000
Il viaggio...
6. Giugno 2000
La realtà della realtà
7. Luglio 2000
La "pace" dell'intelletuale
8. Agosto 2000
Progetti di pace
9. Settembre 2000
Il racconto fantastico
10. Ottobre 2000
I pregi della sintesi
11. Novembre 2000
Il mese del ricordo
12. Dicembre 2000
La strada dell'anima
13. Gennaio 2001
Fare il punto
14. Febbraio 2001
Tessere storie
15. Marzo 2001
La densità della parola
16. Aprile 2001
Corpo e inchiostro
17. Maggio 2001
Specchi senza volto?
18. Giugno 2001
Chi ha più fede?
19. Luglio 2001
Il silenzio
20. Agosto 2001
Sensi rivelati
21. Settembre 2001
Accenti trasferibili?
22. Ottobre 2001
Parole amicali
23. Novembre 2001
Concorso IIIM: vincitori I ed.
24. Dicembre 2001
Lettere e visioni
25. Gennaio 2002
Terra/di/nessuno: vincitori I ed.
26. Febbraio 2002
L'etica dello scrivere
27. Marzo 2002
Le affinità elettive
28. Aprile 2002
I verbi del guardare
29. Maggio 2002
Le impronte delle parole
30. Giugno 2002
La forza discreta della mitezza
31. Luglio 2002
La terapia della scrittura
32. Agosto 2002
Concorso IIIM: vincitori II ed.
33. Settembre 2002
Parola e identità
34. Ottobre 2002
Tracce ed orme
35. Novembre 2002
I confini dell'Oceano
36. Dicembre 2002
Finis terrae
37. Gennaio 2003
Quodlibet?
38. Febbraio 2003
No man's land
39. Marzo 2003
Autori e amici
40. Aprile 2003
Futuro presente
41. Maggio 2003
Terra/di/nessuno: vincitori II ed.
42. Giugno 2003
Poetica
43. Luglio 2003
Esistono nuovi romanzieri?
44. Agosto 2003
I vincitori del terzo Concorso IIIM
45.Settembre 2003
Per i lettori stanchi
46. Ottobre 2003
"Nuove" voci della poesia e senso del fare letterario
47. Novembre 2003
Lettere vive
48. Dicembre 2003
Scelte di vita
49-50. Gennaio-Febbraio 2004
Pubblica con noi e altro
51. Marzo 2004
Fra prosa e poesia
52. Aprile 2004
Preghiere
53. Maggio 2004
La strada ascetica
54. Giugno 2004
Intercultura: un luogo comune?
55. Luglio 2004
Prosapoetica "terra/di/nessuno" 2004
56. Agosto 2004
Una estate vaga di senso
57. Settembre2004
La politica non è solo economia
58. Ottobre 2004
Varia umanità
59. Novembre 2004
I vincitori del quarto Concorso IIIM
60. Dicembre 2004
Epiloghi iniziali
61. Gennaio 2005
Pubblica con noi 2004
62. Febbraio 2005
In questo tempo misurato
63. Marzo 2005
Concerto semplice
64. Aprile 2005
Stanze e passi
65. Maggio 2005
Il mare di Giona
65.bis Maggio 2005
Una presenza
66. Giugno 2005
Risultati del Concorso Prosapoetica
67. Luglio 2005
Risvolti vitali
68. Agosto 2005
Letteratura globale
69. Settembre 2005
Parole in volo
70. Ottobre 2005
Un tappo universale
71. Novembre 2005
Fratello da sempre nell'andare
72. Dicembre 2005
Noi siamo degli altri
73. Gennario 2006
Un anno ricco di sguardi
Vincitori IV concorso Pubblica con noi
74. Febbraio 2006
I morti guarderanno la strada
75. Marzo 2006
L'ombra dietro le parole
76. Aprile 2006
Lettori partecipi (il fuoco nella forma)
77. Maggio 2006
"indecidibile santo, corrotto di vuoto"
78. Giugno 2006
Varco vitale
79. Luglio 2006
“io ti voglio… prima che muoia / rendimi padre” ovvero
tempo, stabilità, “memoria”
79.bis
I vincitori del concorso Prosapoetica 2006
80. Agosto 2006
Personaggi o autori?
81. Settembre 2006
Lessico o sintassi?
82. Ottobre 2006
Rimescolando le forme del tempo
83. Novembre 2006
Questa sì è poesia domestica
84. Dicembre 2006
La poesia necessaria va oltre i sepolcri?
85. Gennaio 2007
La parola mi ha scelto (e non viceversa)
86. Febbraio 2007
Abbiamo creduto senza più sperare
87. Marzo 2007
“Di sti tempi… na poesia / nunnu sai mai / quannu finiscia”
88. Aprile 2007
La Bellezza del Sacrificio
89. Maggio 2007
I vincitori del concorso Prosapoetica 2007
90. Giugno 2007
“Solo facendo silenzio / capisco / le parole / giuste”
91. Luglio 2007
La poesia come cura (oltre il sé verso il mondo e oltre)
92. Agosto 2007
Versi accidentali
93. Settembre 2007
Vita senza emozioni?
94. Ottobre 2007
Ombre e radici, normalità e follia…
95. Novembre 2007
I vincitori di Pubblica con noi 2007 e non solo
96. Dicembre 2007
Il tragico del comico
97. Gennaio 2008
Open year
98. Febbraio 2008
Si vive di formule / oltre che di tempo
99. Marzo 2008
Una croce trafitta d'amore
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Le ali di Daniela Cavallini
(Nata a Torino nel 1959, nel 1989 si trasferisce a Roma.
Studentessa trasognata e distratta consuma il tempo sui banchi del liceo
classico a disegnare caricature e ritratti di professori e compagni.
Intanto si iscrive a un corso di dizione e recitazione e viene assunta
da un'emittente televisiva locale (legge telegiornali, conduce programmi
per ragazzi e giochi a premi coi fagioli). Realizza spettacoli comici
con alcuni compagni di corso. Si iscrive a Lettere senza conseguire
la laurea e continua l'attivita' teatrale. A Roma lavora come doppiatrice
e speaker. La scrittura ha sempre avuto un potere maieutico e analitico
dei suoi piu' reconditi e ingarbugliati sentimenti.)
Lei era cosi', tutto le arrivava un po' attutito, come
se avesse demandato la sua esistenza. Diana era piu' vivente che viva,
non si soffermava sul perche' dei suoi comportamenti, sulle sue parole,
poche, visto che non sapeva mai cosa dire.
Si circondava di amicizie eterogenee, adattando l'aspetto all'occasione
dei suoi incontri e riuscendo, cosi', a non sapere mai chi fosse. Una
trasformista amebica. In cuor suo, era questo che pensava di se'.
Era sempre a caccia di venerdi' letterari, mostre di pittura, concerti
di Bach nelle chiese. Qualsiasi evento a matrice intellettuale era utile
per obliare certe sue cadute in campo prettamente fisico. La fanciulla
cercava, a modo suo, di allontanarsi da un certo stereotipo che vuole
la donna di facili costumi stupida e poco colta.
Una donna che studia, che ascolta musica classica, che, dopo uno spettacolo
teatrale, si diletta a scrivere una critica, non puo' essere mignotta
a tutto tondo e comunque mai nel senso deteriore del termine.
Facile evincere che Diana non aveva custodito la sua verginita' in un
artoforio, per lo meno non quella fisica. Si dibatteva schizofreneticamente
tra il miracolo di un'illibatezza autorigenerativa e la consapevolezza
di allontanarsi sempre piu' dalla santita'.
«E' brutto sentirsi tanto remoti. Le mie parole, le mie azioni
seviziate dalla malignita'... dove ho dimenticato le ali? Le ritrovero'
e le indossero', saro' ancora capace di volare, la mia purezza senza
macchia mi fara' librare in alto, lontana da questo corpo di fango,
ascendero' leggera nello spirito.»
Cosi' scriveva nei suoi momenti speculativi in cui misticismo e vaneggiamento
erano una cosa sola, in genere dopo un dolore, un'incomprensione, dopo
essersi data a un uomo facendosi intrappolare da un amore illusionista,
abile nell'arte di incantare, di mistificare l'urgenza sessuale con
parole e occhi umidi di emozione.
Che preda facile! Non c'era bisogno di inseguirla; lei era li', disposta
a tutto pur di avere, anche solo per un attimo, la Grande Illusione,
pur di sfiorare con la punta delle dita la Meravigliosa Chimera,
sentire, in un abbraccio, il tepore del Sogno Sublime.
Si accontentava. Un uomo poteva essere quello giusto e, per non sbagliarsi,
sceglieva di non scegliere, fabbricandosi stomachevoli sensi di colpa
per supposta e sgomentante ninfomania. Nell'incapacita' di dire di no
si maltrattava in amori fallaci e fallici.
- Vieni da me?
Erano seduti in macchina, fuori l'inverno, lucido come una lama d'acciaio.
Giulio guardava il profilo indolente di Diana.
Inverno di una cittadina del nord: rumori fluidi, sordi, il mondo e'
anestetizzato. Dalla strada i fari delle automobili proiettano, contro
i loro visi, la luce che si frantuma nelle gocce di pioggia sul parabrezza.
Anche Diana e' anestetizzata, fluida, abbagliata ad intermittenze irregolari.
- Andiamo.
Le dita di quell'uomo tanto piu' vecchio sfioravano il viso di Diana...
Che sete... presto! Deve bere da quelle labbra, deve bere la giovinezza.
In ascensore le sue mani nodose si allungavano dalle braccia prosciugate
dalla troppa magrezza, cercavano febbrilmente, convulsamente, di penetrare
quella terra ricca di humus... e sono baci, ovunque... Le chiavi del
suo appartamento a Diana, lui non puo' aprire ha troppa sete.
Diana spogliata, accarezzata, leccata, voltata, guardata, baciata, succhiata
la' dove il profumo della giovinezza e' piu' forte.
Diana anestetizzata.
Lei, generosa fonte di piacere, disseta quel corpo screpolato. Lei,
sorgente miracolosa... E da quel corpo, che si credeva inaridito, sgorga
di liquido lattescente dell'amore.
- E' stato meraviglioso.
Si'? Ma Diana non ha preso nulla per se', ti ha dato il suo involucro
di fango, ti ha permesso di plasmarlo. E' divenuta pecora e farfalla,
la sua bocca ti ha accolto quando gli anni e la smania t'impedivano
di entrare nella stanza della giovane rosa. Niente per se' stessa se
non il piacere del tuo piacere.
Il suo corpo ha rinunciato per dare le ali alla sua anima. Perche',
allora non riesce a volare? Perche' e' ancora su quel letto?
- Non ti vai a lavare?
Si', lavare, si deve lavare, subito. Va in bagno, sputa la saliva dell'estraneo,
si lava la bocca, non basta... il dentifricio su un dito, su tre dita,
sfrega il palato, i denti la lingua. Lavarsi dentro e fuori: penetra
la sua vagina, scava per estrarre gli umori di un piacere non suo.
Epurazione dell'estraneo, compiuta. E' ancora intatta, la sua imene
rifiorisce. Puo' sorridere di nuovo.
Motivazione della giuria
Ha la capacita' di rappresentare una condizione personale con spessore
psicologico e credibilita', utilizzando un linguaggio preciso e a tratti
quasi iperrealistico, ma sempre misurato ed efficace.
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Sogni e speranze di Giorgio
Di Paola
(Nato a Mestre nel 1962, ha il diploma di operatore grafico.
Ama la pesca agonistica, la chitarra, leggere. Ha viaggiato piu' volte
in America Latina. Attualmente gestisce un impianto di carburanti.)
Fuori era ancora buio, e penso' che forse era meglio cosi', l'alba
l'avrebbe colto lontano dai luoghi dove lasciava sogni e speranze.
La carrozza era semivuota, un coro di cigolii lo avverti' che il convoglio
stava partendo. Stava lasciando il Cile per intraprendere la faticosa
ascesa all'altipiano andino, una lunga corsa verso il porto di Buenos
Aires per poi ripartire per altri lidi.
Dopo la fuga dalla Spagna di Franco, il sogno sfumato di Allende dopo
anni di speranze ed attese era stato troppo per un idealista stanco.
Il treno aumentava la velocita', il dondolio aiutava l'assopimento.
Da uno scompartimento vicino arrivava l'eco di una ballata triste, erano
indios Aymara, che tornavano a casa dopo la lunga e dura stagione nelle
miniere di Antofagasta. Di fronte a lui c'era un uomo che dormiva con
le braccia incrociate, l'abito sdrucito e liso, le scarpe allacciate
con fil di ferro, una scatola di cartone chiusa con la corda il suo
bagaglio, al suo lato invece, una ragazza giovane dai tratti chiaramente
indio stava allattando un neonato.
Il tipo di fronte apri' gli occhi, la faccia segnata da una vita dura
e violenta in continua ricerca di espedienti per andare avanti. Scruto'
a fondo quel signore apparentemente straniero, e notando una profonda
tristezza nel suo guardare fuori dal finestrino penso' che essendo il
viaggio lungo, forse avrebbe avuto l'occasione per derubarlo. Sposto'
lo sguardo sull'india, e quando gli occhi si incrociarono un ghigno
comparve sulla faccia di lui, un'evidente sprezzo su quella di lei.
Era ancora una bambina quando i genitori la mandarono a lavorare in
una finca di bianchi, un lavoro duro dall'alba al tramonto, con la padrona
che non perdeva mai l'occasione per sgridarla e umiliarla. Una notte
il figlio dei bianchi, visibilmente ubriaco, la violento' e quando non
fu piu' in grado di nascondere la gravidanza fu cacciata dalla hacienda.
Ora, con un bambino che non conoscera' mai suo padre, e con il marchio
della vergogna che avrebbe sempre portato con se', si accingeva a tornare
al paese natio con la paura di non essere accettata neanche dalla sua
famiglia che le attanagliava le viscere. Un odio profondo le sali' dal
cuore, guardando quel ghigno che la riportava a quella notte di terrore,
quindi alzandosi disgustata usci' in cerca di un posto piu' tranquillo
dove continuare il viaggio.
Il ghigno si spense dal viso, ora avrebbe pazientemente aspettato il
momento piu' opportuno per mettere a frutto l'atto criminoso verso lo
straniero che non staccava lo sguardo dal panorama fuori dal finestrino,
dove le Ande maestose e il cielo terso per l'altitudine mostravano un
gioco di colori che alleviava lo scoramento che lo affliggeva dalla
partenza.
All'improvviso, per alcuni secondi calo' un fitto buio sul treno, una
sensazione di pace lo pervase in tutto il corpo, poi torno' la luce,
il tipo con cui divideva lo scompartimento mostrava uno strano ghigno
ed era visibilmente spaventato, ma alzo' le spalle calandosi il cappello
sugli occhi. Guardando il finestrino vide che stavano attraversando
un viadotto, forse avevano passato una galleria, uno strano silenzio
aleggiava per il vagone, il treno stava rallentando, poi si fermo'.
Non capiva perche' si fosse fermato in un luogo cosi' deserto. Dopo
alcuni minuti rotti solamente dall'ululato di un impalpabile vento,
scese per avviarsi verso la locomotiva. Era vuota, niente e nessuno
circondava il luogo dove s'erano fermati. Senza domandarsi il perche',
prese ad incamminarsi verso quel niente, dopo un po' si guardo' indietro,
gli altri ospiti del treno lo seguivano in lontananza. Passato un incalcolabile
lasso di tempo arrivo' in uno strano paese, privo di accessi e senza
ombra di vita.
Entro' in un locale: tutto era come se fosse stato abbandonato da poco;
uscendo si guardo' attorno, si fermo' in mezzo ad una polverosa strada
di terra battuta, senti' delle presenze alle sue spalle, girandosi vide
la ragazza india col suo neonato e il tipo del ghigno avvicinarsi spaesati
a lui, quando un vecchio giornale portato dal vento atterro' ai suoi
piedi, lo raccolse, la prima pagina parlava a grandi lettere di un treno
che era precipitato da un viadotto, c'erano stati quarantatre' morti
ma non si conoscevano ancora la cause dell'incidente.
L'uomo del ghigno indietreggio', urlo' tutto il suo terrore e scomparve
come inghiottito da sabbie mobili, una forte luce che prima non c'era
apparve come d'incanto, un'espressione di pace e beatitudine mai vista
si era impadronita della ragazza india che s'incammino' col suo neonato
in direzione di quell'alone supremo.
Il vento si placo', lui getto' il giornale a terra, porto' lo sguardo
verso il cielo blu, rise scuotendo la testa e si avvio' di nuovo verso
il nulla.
Motivazioni della giuria
Riesce a narrare molte vite e a descrivere un mondo complesso, in uno
spazio cosi' breve di tempo e parole.
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A mio nonno (di Giovanni
Rosa)
Eri un gabellotto
e la tua burritta (1)
scopriva spesso la tua testa
bianca davanti ai cappelli,
di paglia.
Ma eri tu il signore della tua liberta';
signore del tuo carretto e del tuo cavallo
devoto;
signore dell'alba, che salutava
la tua fatica;
signore del cielo, che ti rivelava
i suoi segreti.
Ti bastava il pane,
fatto di grano e di sudore.
E la sera,
al fresco del pergolato,
sedevo sulla tua gamba,
di panno ruvido,
mentre, sull'altra, dormiva il gatto.
E tu accarezzavi
ora me,
ora lui,
mentre fumavi il tuo mezzo toscano.
- Nonno, raccontami una storia.
E tu incominciavi:
- 'N gnuornu fui cavaddu e fui risiatu
e fui risiatu di 'na gran signura.
D'oru e d'argentu la me mangiatura
e abbiviratu 'nta 'na vagghila d'oru.
Ora, sugnu 'nta stu margiu abbiatu:
li pieri m'a sirratu la pastura. (2)
Poi,
non so come,
finisti in ospizio...
- Nonno, come stai?
E tu ancora:
- 'N gnuornu fui cavaddu...
Ora... li pieri m'a sirratu la pastura.
Addio, nonno.
Vossia mi benedica. (3)
(1) Burritta: coppola, berretto tipico dei contadini
siciliani.
(2) Traduzione: Un giorno fui cavallo e fui desiderato / e fui desiderato
da una gran signora. / D'oro e d'argento la mia mangiatoia / e abbeverato
in una bacinella d'oro. / Ora sono in questo terreno brullo gettato
/ i piedi mi ha serrato la pastoia.
(3) Tipico saluto di rispetto, che si rivolgeva ai genitori e ai nonni
e che prevedeva, come risposta: "Santo e ricco come il mare e che
il Signore ti benedica."
Motivazioni della giuria
Mantiene il ritmo dei versi, immagini credibili in un tempo e nello
spazio, ricordo-evocazione.
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La battuta di Clemente Francesco
(Nato a Brindisi in una famiglia di contadini, adolescente
ha perso la madre. Pur non ritenendosi uno stinco di santo, non ha mai
completamente trascurato alcuni valori. Si e' sempre trovato ai margini
della societa'.)
Batte il cuore all'imputato...
batte il giudice il martello sulla panca e pronuncia la sentenza, se
ne sbatte l'avvocato della pena, ma si paga e non ci pensa. Cosi' il
cancelliere, boccheggiante e sonnolento, batte a macchina il nuovo documento.
Batte il metro la mattina, l'infermiera come altezza; a Pechinelli:
gli batte nella bocca puntuale la sciocchezza. Batte il ferro il secondino
sulle sbarre alla finestra, batte il mestolo sul piatto quando passan
la minestra. Batte il dito sulla scheda quando prendono l'impronta,
batte il capoposto con la penna sopra al foglio, quando passan per la
conta.
La penna batte sull'assegno il truffatore, batte il quintalino Salvatore.
Il ladro se ne sbatte, ruba e rischia, l'educatore con destrezza se
ne infischia.
Batte Bin, con le racchette la pallina sopra al tavolo, qualcuno, entra,
esce e se ne sbatte il cavolo.
Batte la mani don Nevio per chiamare l'attenzione... batte le dita sulle
corde alla chitarra la Loretta, intonando la canzone. Batte l'ora all'orologio
a ritmo, sempre uguale, sbatte in terra Buba inciampando sulle scale.
Sbatte forte la porta la guardia che vuole essere fiscale, se non batte
sulla sponda la pallina, al calcetto il goal non vale. Mentre con Paci
si parla di figliuole, eh si', anche la lingua batte dove il dente duole.
Qualcuno batte il record guardando la TV, e c'e' chi sbatte la testa
al muro, perche' non ce la fa piu'.
Batte il caldo, la fiacca, la noia, questo e quello, qua batte la fame
anche l'uccello, le palle poi, crescono a vista d'occhio, si calan per
le cosce e sul ginocchio, e continuando il lor cammin fatale, battono
forte a terra e fanno male.
E' sera, il sonno gia' mi tiene, il mento sbatte sul petto... e il sonno
viene.
(Rimini 18 settembre 2001)
Questa e' una filastrocca che vuole raccontare la giornata
da detenuto sotto forma di battuta. Per capirla meglio bisognerebbe
conoscere l'infermiera che passa la terapia, che e' bassissima. Pechinelli
e' un signore anziano che fa sempre battute stupide. Salvatore pesa
110 Kg. Bin e' un ragazzo albanese che sfida tutti al ping-pong. Don
Nevio e' il parroco del carcere. Loretta una volontaria che suona la
chitarra al cammino di fede. Buba e' il soprannome di un ragazzo molto
distratto, capace di inciampare piu' volte nello stesso punto. Paci
e' un finto play boy. Per il resto e' la giornata in sezione.
Motivazioni della giuiria
Idea geniale quella di raccontare un intero ambiente,
oltretutto difficile come il carcere, con una filastrocca. L'autore
ha due grossi meriti: primo, l'aver intuito che un quadro e' tanto piu'
efficace quanto piu' e' semplice d'impianto e d'ingredienti, perche'
cio' che non viene descritto a parole viene immaginato dal lettore,
il cui inconscio provvede a "riempire l'inespresso" con gli ingredienti
che preferisce. E l'insieme ci guadagna in forza. Secondo, l'autore
ha evitato il piagnisteo e l'autocompassione, che avrebbero rovinato
tutto senza rimedio. Se si fosse curato di piu' il ritmo si sarebbe
anche sottolineata (con la finta monotonia di un ritmo prosodico preciso)
l'implacabile ripetitivita' del carcere.
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Profeti di stoltezza di Vincenzo
Andraous
(In carcere da 28 anni, da alcuni anni, avendo ottenuto
la semiliberta', e' tutor nella Casa del Giovane di don Franco Tassone
a Pavia.)
Le dita battono incerte i caratteri sulla tastiera. E'
difficile persino cercare la verita' in questi momenti cosi' devastanti,
dove le religioni, gli interessi economici, i poteri forti, le poverta'
spirituali e intellettuali, il disagio dei tanti giovani e meno giovani,
stanno distruggendo l'ultimo barlume di speranza per un mondo nuovo.
Un mondo che non sara' mai perfetto, ma si spera lontano, distante,
da qualsiasi rispettabile inferno. Le due torri americane non ci sono
piu', innumerevoli e tutt'ora incontabili saranno le assenze eterne
che sono gia' divenute presenze costanti. Si levano alte le voci di
dolore e di disperazione, cosi' i traccianti che stanno delineando i
nuovi scenari apocalittici.
E' fin troppo facile giudicare il gesto posto in essere, perche' e'
una follia lucida che esplicita stoltezza di vista prospettica, in tanta
arroganza di azione, nonche' la stessa inadeguatezza di chi si eleva
a Dio in terra, decidendo di fare scomparire un pezzo intero di umanita'.
Molto ci sarebbe da dire e molto ci sarebbe da fare per far si' che
il nero e il bianco scrivano e si raccontino le loro storie reciprocamente,
attraverso un'amicizia che nasce vestita e non travestita di grigio.
Dalla mia ridotta specola osservo e le parole fanno fatica ad accettare
un dramma cosi' maledettamente ripetibile da persone che sono meschinamente
replicanti di se' stesse.
Condannare, punire, crocifiggere, e' tutto troppo facile e penso altrettanto
inadeguato alle circostanze.
Ma non spetta di certo a me quantificare le sofferenze che hanno bisogno
di liberarsi, non spetta a me equiparare la tragedia dei tanti alle
aspettative dei pochi.
Con questa ansia nel cuore, rammento la storia, gli eventi, i personaggi,
rivedo films e sceneggiati di ieri, e mi accorgo che questa indicibile
catastrofe sta da tempo nei video giochi; ma oggi nulla e' virtuale,
neppure le migliaia di croci a perdere.
Rivedo i volti di tanti e forse troppi profeti in patria, semidei e
cittadini del mondo, risento applausi per gli slogans, le canzonette
ben confezionate, ritrovo le stesse e identiche trame.
Pero' ho difficolta' a intravedere un uomo, dieci, cento, mille, un
milione di uomini, che sappiano parlare senza retoriche, senza cattedre,
senza attese di medagliamenti, ma che sappiano additare chi riversa
sugli altri montagne di risposte senza che mai questi abbiano la possibilita'
di porre quesiti.
Anzi e peggio, senza alcun ascolto per alcuna preghiera, neppure la
piu' sommessa.
Le torri cadono e le persone sono inghiottite dall'assassinio per ben
due volte; dalle tante risposte senza domande, dalle tante domande senza
risposta.
Qual e' l'uomo che in questo momento oltrepassa il limite della ragione,
dello spreco degli aggettivi, dei superlativi, e finalmente la smette
di creare gabbie di partenza per tutti, nonche' etichette e cattivi
maestri?
Qual e' l'uomo che sa parlare agli altri uomini, consigliando di scendere
dal piedistallo per dedicarsi a opere davvero convissute?
Noi facciamo finta di nulla innanzi a quanti danneggiano chi gli e'
affidato, ci voltiamo da un'altra parte per non guardare quanti se ne
infischiano del servizio che dovrebbe dare ogni educazione, religione,
politica. Per poi presuntuosamente mimare una sorta di "pseudo
polis". Come e' possibile parlare di pedagogie dell'esistenza,
di stili di vita, di comportamenti sani e umani, quando non accettiamo
di imbatterci con senso critico e una buona dose di onesta' intellettuale
di fronte agli errori in cui sovente inciampiamo, perche' sudditi supini
delle certezze... da noi delegate a chissa' chi e a chissa' che cosa?
Proprio in questo mercato all'ingrosso della sicurezza si evince la
dubitosita' che esista qualcuno che possa chiamarsi fuori dall'aver
commesso degli sbagli.
Manhattan non sara' mai piu' la stessa, forse lo sara' in qualche modo
e in qualche misura in meglio, se sapremo elaborare la nostra immaturita',
se sapremo sconfessare l'assassinio e gli assassini di ogni parte e
di ogni dove, e infine portarci al centro della meta, quel centro che
e' l'uomo, ma anche i mondi da noi tralasciati ai bordi della coscienza,
dove l'ingiustizia partorisce idee di morte ed eroi di cartapesta.
Lo potremo fare distaccandoci ognuno, anche solo per alcuni istanti,
dalle nostre nicchie accudenti, per avvicinarci a un'attenzione sensibile
con occhi e sguardi nuovi.
Guerra di religione, guerra di potere, guerra di economia, chissa' che
non sia il caso di rappresentare la vera pace, quella veramente santa,
che indipendentemente dalla fede professata, insegue e ricerca un'altra
fede, altrettanto forte e duratura, la fede nella capacita' dell'amore.
Motivazioni della giuria
Per il carattere di estrema urgenza e di testimonianza che assume lo
scritto, compilato in forma di riflessione solitaria, dove il ragionare
si districa in volute tipiche del pensiero che cerca una via d'uscita
da una realta' che non puo' e non vuole (piu') essere letta alla luce
delle semplificazioni. Il periodare lungo e l'uso di un lessico non
sempre immediato contribuisce a rendere l'idea del travaglio e del dramma
che stiamo attraversando.
Fede e ragione di Vincenzo
Andraous
Dagli alberi spogli
e poi fioriti,
mi sono chiesto:
sono vivo io?
In questa discesa
che e' sempre salita,
ho incontrato salici piangenti,
mi hanno guardato,
anch'io l'ho guardati.
Ho pensato ai Santi,
ai miei Demoni,
a Cristo dimenticato.
Ho desiderato
un sorriso
che non conosca
il mio dolore.
Due occhi di cielo
che non sanno
mentire.
Mani leggere,
bianche,
pulite.
Per cent'anni
sono sopravissuto
a me stesso,
senza accorgermi
di quest'assenza.
Per cent'anni.
Motivazioni della giuria
Immagini che evocano sentimenti, storie.
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Decadenza di Danilo
Cattaneo
(Nato a Milano nel 1971, sta per conseguire la laurea
in Ingegneria elettronica al Politecnico di Milano. Da 12 anni e' allenatore
di squadre giovanili di basket. Oltre ad aver scritto una trentina di
poesie e sette racconti, sta lavorando a due romanzi.)
Cado. Come la pioggia.
Precipito liberamente, senza meta e senza velocita' apparente.
Il mio destino e' segnato. Non so chi, o cosa, dovro' affrontare per
espiare la mia colpa. Una cosa pero' e' scontata:
Saro' sconfitto.
La pena sara' la dannazione eterna. Dove? In qualche luogo stregato,
popolato da gente malvagia che non mi vorra' bene. Mai.
Anzi, mi odieranno tutti. D'altronde me lo sono meritato, non ho certo
scuse.
Mi guardo intorno e vedo centinaia come me. Ma che dico? Saremo milioni,
forse miliardi.
Tutti in caduta libera.
Tutti predestinati.
Tutti maledetti.
Continuo a cadere nel vuoto.
Non mi e' di consolazione vedere altri nelle mie condizioni.
In ogni modo, come dicevo, me lo sono meritato. La mia ignavia mi ha
portato qui, in questo non luogo, in questo non tempo.
La battaglia selvaggia tra le forze di Gabriele e del
Drago impazzava. Entrambe le fazioni necessitavano di rinforzi, poiche'
le perdite erano ingenti per tutti. I caduti sul Sacro Campo non si
contavano piu'. Molti di loro sono miei compagni nella caduta, ma per
loro la sorte e' meno incerta, la sentenza infinitamente meno crudele.
Io faccio parte dei codardi. Anime vili che hanno galleggiato al di
sopra delle parti in guerra, inutili molluschi, ora per sempre ripudiati.
Vedo laggiu' una radura, forse la mia esistenza avra'
uno scopo, un obiettivo finale: l'impatto. Gli schianti sono infiniti.
Angeli che con me hanno condiviso secoli d'eterna noia non sono piu',
e non saranno per sempre.
Ma, che io sia dannato, non mi sfracello, non mi separo in milioni di
parti a causa dello scontro. Anzi, passo attraverso questo primo setaccio
insieme con altri che con me non hanno impugnato le armi.
Se pur capisco la gravita' della mia non posizione, non
ho mai compreso il motivo della guerra. Il Drago combatteva per la nobilta'?
Ma cosa c'e' di piu' elevato di cio' che e' considerato malvagio?
Qual e' il fascino del male?
Non e' forse vero che il peccato, in quanto proibito, e' esattamente
cio' di cui non si puo' fare a meno, in cielo come in terra?
Non ci sono esseri che tendono naturalmente al bene. Tutti gli
organismi, viventi e non, immanenti o trascendenti sono inclini a cio'
che e' perverso e malsano. Soltanto la ragione puo' trasportarci verso
un bene che, in quanto prodotto della ragione stessa, e' irreale ed
illusorio.
Tutto questo, ripeto, non e' per discolparmi. Non ne avrei la possibilita'.
Bensi' per farvi comprendere i motivi della mia scelta.
Il principale motivo pero' e' la codardia. Sono sempre
stato un vigliacco. Da quando esisto. Forse la guerra e' stata semplicemente
una prova, un test, affinche' dio capisse chi aveva del talento e chi
invece, come me, andasse spietatamente gettato.
Ecco, questo un po' mi ha stupito, la crudelta' ed il disprezzo con
cui siamo stati trattati. Ho visto cose orribili accadere sul campo
di battaglia. Nonostante cio' tutti loro hanno avuto una pena piu' clemente
della nostra. Perche'?
Basta pensare. Sto acquistando una velocita' indecente. Non riesco piu'
a vedere nessuno dei miei sventurati compagni di viaggio.
Mi manca il fiato.
Mi gira la testa.
Sembra di essere nell'occhio di un ciclone.
Volteggio senza meta nel vuoto. Basta.
Voglio cadere su un bersaglio.
Voglio atterrare su un terreno accogliente.
Voglio tornare indietro.
Troppo tardi, e' tempo di nascere.
Motivazioni della giuria
E' l'invenzione complessiva, l'idea-base, il punto di forza di un racconto
che si legge d'un fiato e resta nella memoria: ci resta perche' l'intenzione
comunque si e' concretizzata nella struttura e nell'efficacia espressiva
di alcuni paragrafi.
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Il colloquio di Francesca
Lozito
(Nata a Chieri nel 1976, dopo aver frequentato il liceo
classico "Giulio Cesare" di Rimini ha conseguito la laurea in Filosofia
presso l'Universita' di Bologna. Giornalista pubblicista collabora con
periodici locali e nazionali, e' curatrice della Newsletter degli Avion
Travel.)
La ragazza poso' le sue mani sulle mani di quell'uomo.
Dolcemente e con la malizia di chi vorrebbe raccogliere in quel gesto
un intero atto d'amore. Ma il luogo, le persone che li circondavano
e soprattutto la liberta' che li divideva non poteva consentire loro
che quell'unico gesto. Poi lei abbasso' gli occhi, ma fu un istante
perche' il colloquio sarebbe durato poco e doveva guardarlo il piu'
possibile, lei non sapeva quando gli avrebbero dato il permesso di rivederlo.
La sala era affollata di persone insolitamente composte, solo sussurri
e bisbigli. Lei non riusciva a parlare, si limitava a guardarlo accennando
quel mezzo sorriso interrotto da un sospiro.
- Ho scritto molto stanotte - disse lui.
- Ma non riesci ancora a dormire per via dei rumori?
- No, ora c'e' qualcosa di diverso che non mi lascia prendere pace.
Lei aveva paura che lui cominciasse a cedere psicologicamente, che la
grande forza che aveva dimostrato prima di entrare la' dentro stesse
venendo piano piano a mancare.
- Ti salutano e ti pensano tante persone, praticamente lascio la segreteria
telefonica perennemente accesa, altrimenti non riuscirei ad avere un
attimo di tempo per me.
- Devi studiare, non lasciarti coinvolgere troppo.
- No, non sono tutte queste manifestazioni d'affetto che non mi fanno
concludere niente. E' che un'angoscia desolante ogni tanto s'impossessa
di me e allora il pensiero di saperti qui...
- Ne abbiamo gia' parlato, sai cosa penso.
- Scusa, non dovrei sprecare il tempo cosi'.
- Inventiamo un gioco - le disse. - Tu devi essere il mio tramite con
il mondo esterno. Il cielo un po' piu' azzurro, le rose fiorite nel
giardino, le carezze che darai al cane, devi viverle anche per me. Tu
sei ora il mio pensiero. Sarai brava, vedrai, ne sono certo.
E con la mano che lei non gli teneva le carezzo' il viso, gliela passo'
attorno agli occhi, sulla bocca. Lei cerco' di trattenere le lacrime,
perche' sapeva che lui la voleva forte, piu' forte di quanto lei stessa
era stata nelle prove gia' tanto difficili che aveva dovuto superare
nella sua vita. Penso' che questa era l'ennesima e si senti' meno sola.
- Andrai dai tuoi domenica? - le chiese, per riportare il discorso alla
quotidianita'.
- No, forse verranno loro qui, io per il momento non mi muovo.
- Mi raccomando i fiori, non trascurarli e le galline.
- Lo facevo gia' quando partivi, stai tranquillo.
Capi' che era giunto il momento di separarsi. Estrasse dalla borsa gli
oggetti che lui le aveva richiesto: una penna, della carta ed un libro
di una scrittrice amica.
- Mi hanno detto che posso darteli direttamente io, li hanno gia' controllati.
Anche quello che scrivi e dai a me deve passare da loro?
- Si', ma per il momento non ho nulla da darti. Ho bisogno di tempo,
ancora. E qui dentro ne avro' molto.
Le mani si sciolsero, a lei sembro' che mancasse qualcosa. La sala si
stava svuotando e lei si uni' agli altri che andavano via. Lui le disse
ciao, ma soltanto quando si allontano' di qualche metro. Lei non resistette
alla tentazione di guardarlo allontanarsi dietro quella serie infinita
di cancelli, ferro e sbarre.
Usci', e trovo' la brezza mattutina ad accarezzarle la pelle. Si accorse
che proprio di fronte al portone c'era una panchina. Si sedette, chiuse
gli occhi e comincio' a sognare. Lui era li', accanto a lei, per sempre.
Motivazioni della giuria
Un racconto classico, pulito.
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